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mercoledì 26 novembre 2014

Crisi dello Stato: una prospettiva dal punto di vista della crisi energetica

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

il tema che affronterò oggi appartiene a un tipo diffuso di argomenti dei quali preferisco non parlare. Non mi piace parlare di questi temi non perché siano un tabù, ma perché non mi considero sufficientemente capace e in possesso della conoscenza adeguata per affrontarli in modo appropriato, per cui più che in altri casi quello che potrei dire è fortemente discutibile e persino sbagliato, almeno in parte, Insomma, che la mia opinione su questi temi non è più qualificata di quella di qualsiasi altro cittadino, pertanto non mi pare sia corretto sbandierarla da questo blog, dandole un rilievo che non ha. Tuttavia, noto che progressivamente le discussioni su internet ed altri media  si stanno incancrenendo nella misura in cui ci avviciniamo alla successiva grande ondata recessiva globale (della quale l'attuale tendenza al ribasso del prezzo del petrolio è un sintomo chiaro, visto che non è aumentata la produzione ma i prezzi scendono, ergo è la domanda che retrocede poiché si sta distruggendo a causa della recessione che avanza – e non dell'efficienza, come a volte si dice per confondere ancora di più). E ultimamente rilevo che c'è una certa confusione sul posizionamento politico, in chiave molto classica e partitica, di alcune cifre della discussione della crisi energetica in spagnolo, particolarmente le mie. Posizione partitica che non è rilevante in termini assoluti, come ho ripetuto tante volte, e che pregiudicherebbe la trasmissione di un messaggio di carattere trasversale e non partitico. Tuttavia, e nonostante tutte le premesse che finisco per esprimere, credo che sia interessante chiarire una questione chiave per capire perché il binomio capitalismo-comunismo è, a mio modo di vedere, superato e perché dovremmo esplorare altre dimensioni della discussione. Essenzialmente, parlerò del ruolo dello Stato così come lo vedo io con le mie conoscenze limitate, perché credo che quello che deve venire non potrà somigliare in nulla ai due sistemi apparentemente opposti anche se entrambi si basano su un forte statalismo.

Il ruolo dello Stato

Ci sono molte discussioni storiografiche ed antropologiche sull'origine e la funzione dello Stato, delle quali sono uno scarso conoscitore. Tuttavia, c'è una serie di caratteristiche che vengono attribuite con un sufficiente consenso allo Stato. Una di queste è che lo Stato è il depositario del diritto alla violenza legittima, cioè, è l'unico agente che ha diritto ad agire violentemente in difesa di un bene percepito come comune se non esiste nessun altro mezzo per garantirlo. Lo Stato, che in sé non è altro che una serie di istituzioni create ad un certo punto per la gestione di un paese, diventa, in virtù di questo e di altri diritti, un soggetto di diritto, cioè, un ente con diritti e doveri riconosciuto da altri soggetti di diritto come lui. Per dirlo più semplicemente, lo Stato spagnolo è riconosciuto come l'interlocutore valido per discutere qualsiasi cosa che abbia a che fare col territorio che amministra, cioè la Spagna.

Dato che lo Stato ha il monopolio della violenza legittima, qualsiasi violenza esercitata nel suo territorio da chiunque non sia lo Stato diventa illegittima. Perché le cose siano più chiare, lo Stato, usando il proprio potere legislativo, promulga leggi che esplicitano la non legittimità di quelle azioni per mezzo di disposizioni legali che stabiliscono condizioni penali per i contravventori. Cioè, lo Stato stabilisce con delle leggi quale castigo corrisponde a chi esercita un determinato tipo di violenza che non sia ricoperta dallo Stato stesso. Visto che lo Stato ha diritto di far violenza a qualsiasi aspetto della nostra convivenza (per esempio, sparando a un rapinatore di un supermercato se questo mette in pericolo la vita di altri , o anche negando alcuni assembramenti di massa e inviando polizia antisommossa a picchiare i manifestanti se non se ne vanno, o anche mandando in carcere coloro non pagano le proprie tasse), lo Stato ha un grande potere su tutti noi e per questo è giusto si definiscano in modo molto chiaro quali siano i fini dello Stato e che ci sia un grande consenso sociale sul fatto che questi fini siano legittimi. Qui viene uno degli aspetti più delicati del meccanismo statale: dato che nei sistemi democratici si riconosce che la sovranità è del popolo, tutto il potere in realtà proviene dal popolo e lo Stato, che è un soggetto a parte ma con il grande potere della violenza, come abbiamo detto, deve il suo potere a quel popolo che in realtà glielo ha consegnato. Pertanto, lo Stato deve interpretare correttamente il dettato del popolo e da qui proviene la grande importanza del fatto che le istituzioni dello Stato siano trasparenti e democratiche, come modo per assicurare che si sta compiendo la volontà del popolo.

Come sappiamo tutti, gli Stati moderni sono strutture di una grande complessità e per la loro gestione servono funzionari specializzati e con esperienza. Permettetemi un inciso qui: la parola “funzionario”, in Spagna come in altri paesi, ha molte connotazioni negative, perché la maggioranza della gente di solito la associa a “funzionari di sportello” indolenti che hanno dovuto sopportare nel corso di una qualche operazione con l'Amministrazione. Ed i think tank liberali, nella loro crociata per spogliare lo Stato di tutto ciò che non è monopolio della violenza (curiosamente, ma neanche tanto, come vedremo), sono soliti approfittare di questa cattiva percezione per usare la parola “funzionario” come un insulto. Tuttavia, chiunque abbia avuto a che fare con imprese di grandi dimensioni e complessità si sarà incontrato con amministratori che svolgono funzioni del tutto analoghe a quelle dei funzionari di sportello e di simile indolenza. Si vede che ciò che favorisce quest'atteggiamento (che in realtà non è nemmeno maggioritario ma è più visibile perché è un'attività a contatto col pubblico) è il tipo di lavoro amministrativo tedioso e senza incentivi. Per di più, si è soliti ignorare che la maggioranza dei funzionari sono maestri, professori universitari, medici, infermieri, letterati, militari, pompieri, ispettori fiscali, scienziati, guardie forestali, avvocati, procuratori, giudici e un lungo eccetera di tecnici più diversi il cui lavoro non sempre è visibile ma è fondamentale. A causa della complessità dello Stato che stiamo esponendo, è necessario mantenere questi corpi di funzionari specializzati, che logicamente non possono essere sostituiti allo stesso ritmo dell'alternanza democratica del paese. Per questo è richiesto che i funzionari lavorino in modo fedele al servizio del Governo di turno per il bene del paese, a prescindere dalle loro convinzioni partitiche. In cambio, viene loro riconosciuto uno statuto del lavoro speciale, che in da tempo e specialmente in questi tempi incerti viene percepito come un privilegio inadeguato.

Cosa succede quando un potere sufficientemente forte, tipicamente economico, corrompe qualche struttura dello Stato? Che lo Stato si scollega dalla fonte della sua legittimità, che è il consenso sociale, e si comporta a beneficio di questi altri interessi, naturalmente in modo subdolo per evitare una rivoluzione popolare. Non credo che valga la pena farvi degli esempi, perché sono sicuro che ve ne verranno in mente molti anche senza sforzarvi. Di fatto, il potere economico o di altro tipo non ha bisogno, per i propri fini, di corrompere troppo tutte le strutture dello Stato, perché per costituzione gli Stati tendono ad essere fortemente gerarchici e centralizzati. Se si ottiene il controllo del vertice (per esempio, del Governo) o delle strutture immediatamente inferiori (gli alti funzionari), tutto il resto del macchinario dello Stato lavorerà in modo cieco e implacabile a favore di questo potere corruttore, in applicazione della massima secondo la quale i funzionari di rango inferiore hanno l'obbligo di soddisfare e servire fedelmente ciò che viene loro richiesto in virtù della loro condizione di servitori pubblici, al di là delle loro preferenze ideologiche.

Pertanto, la struttura piramidale e non deliberativa dello Stato lo rende più vulnerabile all'ingerenza illegittima di agenti non popolari, il che dà accesso a questi agenti a forme incontrastate di violenza, non sempre fisica. Si tende a pensare che quando succede questo sia per un difetto concreto dello Stato o persino della società che lo partorisce. Al contrario, da mio punto di vista non sufficientemente documentato ma che si basa sull'osservazione empirica del fatto che non c'è uno Stato non corrotto ma solo gradi diversi di corruzione, credo che la corruzione sia una caratteristica intrinseca degli Stati. Inoltre, che il ruolo dello Stato sia andato rinforzandosi durante la storia in simbiosi con l'ingerenza sempre maggiore dei poteri economici, di modo che alla fine il difetto della corruzione statale non è accidentale ma strutturale.

Capitalismo e comunismo

I due grandi sistemi economici che hanno dominato la discussione durante il ventesimo secolo sono il capitalismo e il comunismo (usare questi nomi è una semplificazione semantica, ma per non rendere questa discussione più complicata, prego i più pignoli che me lo concedano). Al margine di queste discussioni teoriche, la pratica dell'attuazione di entrambi i sistemi è stata completamente subordinata all'esigenza di uno Stato e, nei casi in cui questo non c'era in quanto tale, si è finiti per crearlo a beneficio del sistema economico. A mio modo di vedere, il carattere statalista del comunismo e del capitalismo non è una coincidenza, ma una necessità di entrambi i sistemi per ottenere i propri fini. Nel caso del comunismo di taglio sovietico e simili, la necessità di uno Stato forte risulta evidente a tutti: stiamo parlando di un'economia pianificata, che impone restrizioni ad ogni tipo di attività e che supervisiona in modo estenuante i dettagli della vita pubblica e privata dei suoi cittadini. Nel caso del capitalismo, la percezione popolare, incoraggiata da certi settori della società, è che sia un sistema di libertà e che qualsiasi ingerenza dello Stato in realtà è dannosa. Parrebbe, pertanto, che il capitalismo sia in qualche modo contrario ad uno Stato forte. Niente di più lontano dalla realtà. L'economia capitalista moderna è più pianificata che mai e le percezione di libertà, di capacità elettiva, non è altro che una finzione costruita abilmente.

Molte grandi imprese hanno bisogno che lo Stato le sovvenzioni o le favorisca indirettamente costringendo i suoi cittadini a consumare i suoi prodotti o attraverso esenzioni fiscali. Ha tutta la logica del mondo: l'investimento che queste imprese fanno per influire sullo Stato aumenta i loro benefici, mentre lo Stato beneficia del controllo sociale che queste imprese assicurano, attraverso i loro lavoratori e il loro controllo sui mezzi di comunicazione. E qui la simbiosi Stato-capitale negli Stati capitalisti. I casi nei quali lo Stato favorisce in modo indecente le grandi imprese non sono isolati ma ripetuti: la grande industria aeronautica sta in piedi grazie agli ordini di aerei militari (se qualcuno mi può far passare il collegamento che ho lasciato qualche settimana fa su Facebook...), le grandi banche vengono salvate quando fanno investimenti massicciamente rovinosi, il settore delle auto è sostenuto da piani statali consecutivi di sussidio all'acquisto di un'auto nuova, alle industrie petrolifere riducono le tasse, le grandi società elettriche ottengono regolamenti favorevoli ai propri interessi e contro il bene comune... E questo per non parlare degli scandali ambientali, a volte con gravi conseguenze per la popolazione, taciuti persino con l'uso della forza, grazie al controllo di uno Stato piegato agli interessi di un capitale che non conosce frontiere (“Ricordate Bhopal”).

Non c'è grande settore dell'economia capitalista di oggi che non sia sostenuto dallo Stato e questo non succede da ora, per colpa della crisi, ma è da molto tempo che è così. Di fatto, se uno si scomoda a immergersi nei libri di Storia vedrà che nella configurazione dei moderni Stati capitalisti la cosa è sempre stata così. Ma è solo ora che la sconnessione dalla volontà del popolo sovrano è più evidente. Per esempio in Spagna con l'Iniziativa Legislativa Popolare che promuoveva il pagamento in natura delle abitazioni ipotecate (con l'appoggio di quasi un milione e mezzo di forme) è stata sostanzialmente ignorata nel suo iter parlamentare. Il disprezzo dello Stato della volontà del popolo non è a sua volta una cosa nuova, ma di sempre. Semplicemente prima la gente si guadagnava meglio da vivere e preferiva continuare così piuttosto che passarla nell'impresa di fronteggiare gli abusi dello Stato, cosa quasi sempre inutile. Se si guardano con attenzione le differenza fra comunismo e capitalismo, queste non sono tanto grandi. Il comunismo sovietico è stato molto meno efficace dal punto di vista produttivo ed ha generato molte inefficienze, in molti casi frutto della disaffezione delle classi popolari agli obbiettivi dello Stato (qualcosa di molto naturale se teniamo conto del fatto che lo stato sovietico rifiutava la sovranità popolare anche se formalmente diceva di difenderla). Tuttavia, con l'attuazione di certe misure chiave, il comunismo cinese si è evoluto negli ultimi decenni verso quote di produttività superiori a quelle dell'Occidente, dimostrando che un paese comunista può essere tanto capitalista-statalista quanto qualsiasi democrazia occidentale e senza il costo aggiuntivo (economico) della democrazia.

La crisi dello Stato, conseguenza della crisi energetica?

Si può sostenere che la crisi dello Stato, in particolare quelle degli stati capitalisti come quelli in cui viviamo, è cominciata già da molto tempo. Il sintomo più chiaro di questa crisi di legittimità è stato il rifiuto dell'ingerenza in guerre in terre straniere a difesa di interessi falsi ed assurdi, il cui massimo esponente è stato il movimento di rifiuto della guerra in Vietnam negli Stati Uniti alla fine degli anni 60 e all'inizio degli anni 70 del secolo scorso, o il rifiuto della seconda Guerra del Golfo all'inizio di questo secolo. E' anche legittimo sostenere che la proliferazione delle pubblicazioni indipendenti favorita dalla diffusione di internet alimenta il focus e l'indagine delle disfunzionalità dello Stato  e in un certo modo aggrava la percezione delle stesse, cosa che ha a sua volta una parte importante  di ragione. Tuttavia, ciò che sta rendendo intollerabile le situazione di disprezzo della volontà popolare che dura già da decenni sono le crescenti difficoltà economiche delle famiglie. E causato del malessere popolare, che non può già più beneficiare del benessere materiale, ciò che porta a mettere sistematicamente in discussione i diversi ruoli esercitati dallo Stato. Le citazioni dello Stato disfunzionale escono continuamente fuori nelle conversazioni quotidiane, con speciale enfasi sui casi concreti e personalizzati di corruzione, ma con un fondo di sfiducia generalizzata verso il buon lavoro e persino verso i fini dell'Amministrazione (un esempio di rabbiosa attualità in Spagna è il primo caso di infezione da ebola in Europa, verificatosi a Madrid per ciò che molti considerano una gestione negligente ed imprudente dell'assistenza a due rimpatriati). In questi giorni è frequente che un notizia falsa apparsa su una pubblicazione satirica venga presa erroneamente da alcuni come vera, semplicemente perché l'atrocità descritta credibile in mezzo all'attuale degrado (nel quale, per esempio, si vede come normale ed accettabile abbandonare bambini la cui famiglia non ha altro sostegno se non quello della mensa scolastica durante i mesi estivi).

Pertanto, credo abbia fondamento dire che la messa in discussione dello Stato e il clamore crescente per la sua riforma, per la sua rigenerazione, provenga in gran parte dello scontento causato dalla crisi economica interminabile che stiamo vivendo. Crisi che, in ultima istanza, non potrà mai finire a causa della decrescita energetica, per colpa della crisi energetica. Potrà essere mantenuto uno Stato centralizzato e complesso in una situazione di ritorni decrescenti, di diminuzione dell'attività economica, di diminuzione delle entrate? E' chiaro che la risposta è no se la diminuzione è grave. E dato il corso prevedibile degli eventi (senza bisogno di scomodare scenari più drammatici) sembra evidente che gli Stati capitalisti ad un certo punto giungeranno alla loro fine. Ed il momento chiave che segna la loro scomparsa è il momento in cui perdono il loro potere principale: il monopolio della violenza. Quando lo Stato smette di pagare gli stipendi alla polizia smetterà di poter imporre la sua volontà e in quel momento smetterà praticamente di esistere.

Il futuro post-statalista

Che futuro attende i nostri paesi dopo la fine dei loro rispettivi Stati? Nessuno lo sa con certezza e questo tema, su quello che hanno teorizzato gli esperti da decenni, è ancora meno propizio per le mie divagazioni personali del tutto non autorizzate. Forse alcuni paesi conserveranno Stati più semplificati, forse in altri si recupereranno forme di organizzazione precedenti, molte delle quali democratiche; altri paesi, disgraziatamente, soccomberanno sotto un nuovo giogo feudale e, in ogni caso, la disgregazione sarà la norma. Ciò che mi è chiaro è che il futuro dipenderà dalle decisioni che prendiamo ora. Niente è perduto se non vogliamo che lo sia. Forse il primo passo per sapere dove si trova questo futuro che interessa a tutti costruire, tanto l'operaio della fabbrica quanto il suo titolare, è uscire dai vecchi schemi di discussione e cominciare a guardare dimensioni del dibattito lungamente ignorate, come per esempio quelle che trattano dei limiti ecologici di questo pianeta che dobbiamo condividere.

Saluti.
AMT