giovedì 31 agosto 2017

Morire di Caldo



42 gradi centigradi misurati dal termometro della mia macchina nella piana di Sesto Fiorentino questo agosto

Sembra che, miracolosamente, questa torrida estate stia per finire con le piogge in arrivo. E speriamo che non ci arrivi addosso qualche altro disastro climatico causato dalla troppa acqua, come è successo a Houston. In attesa della pioggia, vi ripropongo un mio articolo apparso il 6 Agosto sul "Fatto Quotidiano".  (UB)


Quarantadue gradi misurati a Firenze durante l’ondata di calore dell’inizio di agosto del 2017. L’ondata di calore che ha investito l’Italia in questi ultimi tempi fa nascere la domanda se, a lungo andare, il cambiamento climatico ci potrebbe far morire di caldo. E’ possibile? Alcuni studi hanno cercato di rispondere a questa domanda in funzione di una misura che si chiama “temperatura di bulbo umido” che imita il meccanismo umano di raffreddamento per sudorazione. In pratica, si misura la temperatura con un termometro, su cui si spruzza acqua, facendola evaporare. Si sa che se la temperatura di bulbo umido è superiore a 35° C, un essere umano non riesce più a disperdere il calore per sudorazione e finisce per morire di ipertermia in qualche ora al massimo.

Quanto siamo lontani da queste temperature, in Italia? Per fortuna, abbastanza lontani. Mi diceva il mio collega, Luca Lombroso, che ha fatto qualche misura a Bologna durante l’ultima ondata di calore, trovando che per una temperatura “normale” di circa 40° C, la temperatura di bulbo umido era 22,5° C. Non si moriva di ipertermia a Bologna, anche se di certo non era la giornata giusta per farsi una passeggiatina rilassante in centro verso le due del pomeriggio.

Tuttavia, le cose stanno cambiando e continueranno a cambiare. Alcuni studi (uno del 2010 e uno del 2017) hanno trovato che il progressivo riscaldamento globale potrebbe portare molte regioni della fascia tropicale dell’Europa e dell’Asia a raggiungere temperature di bulbo umido superiori a 35 °C, rendendole inabitabili. Questo potrebbe accadere verso la fine del secolo. Nessuno di questi studi ha esaminato l’Italia in particolare, ma è chiaro che siamo nella fascia di rischio.

E’ possibile che un giorno l’Italia diventi desertica e inabitabilecome lo è oggi il deserto del Sahara? Forse, e visto come siamo messi con la siccità questo inizio di Agosto, ci potrebbe sembrare addirittura probabile. Ma, ovviamente, ci sono tante incertezzein queste previsioni a lungo termine. Piuttosto, il problema è che già oggi siamo nei guai. La frequenza e la forza delle ondate di calore nelle capitali europee è in continuo aumento.

Non solo le temperature massime diurne sono aumentate ma anche, e in maggior misura, quelle notturne, incrementando il disagio e lo stress per gli esseri umani. Secondo uno studio recente, si prevede un aumento di un fattore 5-10 della frequenza delle ondate di calore devastanti nei prossimi decenni. In un articolo recente apparso su Lancet si parla senza mezzi termini di un aumento di un fattore 10 del numero delle vittime causate dalle ondate di calore in Europa nei prossimi due decenni. Questo numero è destinato a peggiorare nei decenni successivi. E questo vale per l’Europa in media, la situazione si prospetta peggiore nei paesi del sud Europa, ovvero da noi. Così, se vi siete domandati se era soltanto un’impressione che faccia più caldo oggi di una volta, adesso sapete che non lo è.

La buona educazione vuole che quando si parla di un grave problema, si concluda prospettando qualche soluzione. Ma, in questo caso, non ci sono vere e proprie “soluzioni” a un cambiamento ormai largamente irreversibile. I vari trattati a livello internazionale, tipo quello di Parigi, cercano di rallentare il fenomeno del riscaldamento globale con l’idea di bloccarlo a lungo termine. Ma, per i prossimi decenni, il riscaldamento è destinato ad aumentare e con esso le ondate di calore. Così, la raccomandazione principale è di non prendere il problema sottogamba. Non viviamo più sullo stesso pianeta in cui vivevano i nostri nonni. E’ un pianeta diverso e sta cambiando rapidamente.

Così, a parte le soluzioni drastiche, tipo emigrare al Nord, cominciate a pensare a come affrontare le future ondate di calore pericolose, specialmente se non siete più giovanissimi e avete qualche problema di salute. La cosa più semplice è avere l’aria condizionata in casa: vi può salvare la vita. Potete anche fare un isolamento termico alla casa; di per sé non fa molto contro il caldo, ma aumenta l’efficienza del condizionamento. Se avete modo, cercate anche di installare un impianto fotovoltaico sul tetto: vi ripagherà il costo delle bollette causato dal condizionatore e non peggiorerete le cose emettendo ulteriori gas serra. E se potete piantare qualche albero che faccia ombra alla casa, anche quello aiuta.

Non sono soluzioni entusiasmanti, certo. Ma ci sono alternative?Certamente sì. Potete chiudere gli occhi e gridare qualcosa tipo: “Non ci sono prove” oppure, “E’ il sole, non l’uomo” o anche “Sta per arrivare la nuova era glaciale”. Può anche aiutare molto leggere le fesserie sul clima che vi raccontano alcuni. Poi arriverà Settembre e vi dimenticherete del caldo che avete sofferto in estate. E se a Natale ci saranno 20° C direte “Come si sta bene”. In fondo, l’estate del 2018 è ancora lontana.



domenica 27 agosto 2017

Mandare gli Studenti in Discarca




Portare gli studenti a visitare la discarica. Si accorgeranno di quanto è sofisticato e complesso l'impianto di trattamento dei rifiuti. E anche di come si riesca a partire da un cumulo di schifezze, che includono ogni possibile robaccia buttata dai maleducati, per farci un terriccio che poi si può utilizzare in agricoltura. L'impianto puzza? Certo, ma è l'economia circolare, bello mio!












Ringrazio gli Studenti del corso di "Tecnologia dei Materiali Avanzati del corso di laurea in Chimica dell'Università di Firenze

giovedì 24 agosto 2017

Uccidere l'orso, uccidere se stessi

Wild Brown Bear in the Carparthian Mountains


Un fantasma si aggira per il mondo: l'incapacità degli esseri umani di capire cosa stanno facendo all'ecosistema e, di conseguenza, a se stessi. E' un concetto che si sta facendo strada sotto il nome di "Ecosystem Services." (servizi ecosistemici) E' un termine che va preso con attenzione; l'ecosistema non è e non è mai stato al servizio degli esseri umani. Piuttosto, sono gli esseri umani che dipendono dall'ecosistema. Si sta facendo strada l'idea che stiamo sovrasfruttando l'ecosistema, prelevando nel breve termine molto di più di quanto l'ecosistema può fornire a lungo termine. Il che vuol dire, a lungo andare, suicidarsi in un modo particolarmente doloroso. Così, ammazzare un orso, come è stato fatto in Trentino, è una dimostrazione dell'ignoranza spaventosa che regna su questo concetto fondamentale: anche l'orso è parte dell'ecosistema, anche l'orso è una delle cose che fanno vivere l'ecosistema di cui facciamo parte anche noi. E' un classico esempio di "segare il ramo dell'albero che ti sostiene".

Qui, molti se la sono presa con Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento. Ma Rossi non ha fatto niente altro che il suo mestiere di politico: ha fatto i suoi conti e ha visto che ammazzare l'orso gli porta più voti che lasciare l'orso vivo. Ed ha agito di conseguenza. A giudicare dai commenti che si vedono in qualsiasi discussione sui social media su questo argomento non gli si può dare torto. Sono commenti che dimostrano un'ignoranza profonda, incancrenita, aggressiva, contro la quale lottare è impossibile.

E allora? E allora andremo a finire dove dobbiamo andare a finire: c'è un dirupo di Seneca in attesa per chi distrugge l'ecosistema di cui è parte.

Di seguito, un bell'articolo di Natan Feltrin su questo argomento. (UB)

Strangolando ogni cuore selvaggio: il caso dell’orsa KJ2 (demografie aspeciste)

 Di Natan Feltrin

Quando il pericolo sale sopra una certa soglia, si procede all’abbattimento anche per garantire la sicurezza delle persone” (presidente della Provincia di Trento Ugo Rossi)[1].    Così sembra girare il mondo quando si nasce incarnati in un corpo selvaggio, in un corpo “sbagliato”. Basta poco, niente, una colluttazione accidentale e non desiderata, a scatenare il panico e a far brandire torce e forconi, e ad innescare una nuova spietata caccia al mostro.
Non conta affatto la razionalità in questo genere di episodi, non conta l’etologia, non conta l’ecologia, non conta la conoscenza del proprio territorio, non conta più il buon senso, siamo nell’ambito delle paure ancestrali del rimosso, di quel sonno della ragione che genera mostri “umani troppo-i umani”[2]. Così, ancora una volta, un animale colpevole solo della propria natura, talvolta “ingombrante”, è stato sentenziato a morte pochi giorni fa in provincia di Trento.
Per proteggere persone umane la via più facile non sembra mai essere quella di educarle, di responsabilizzarle e prepararle ad una convivenza, forse non sempre semplice, con l’alterità animale. Semmai quella gigantesca campana di vetro che brama di essere il “primo mondo”, l’occidentale, ogni voce di dissenso, ogni possibile scheggia impazzita vuole eradicarla senza se e senza ma. I soggetti non umani, se non sono oggetti di uso nel mondo antropocentrico o innocue presenze a scopo ornamentale devono essere automaticamente debellati per l’incolumità anche del più irresponsabile dei Sapiens. Una logica paradossale che porterebbe all’abbattimento di un esemplare di pachiderma se solo un folle di turno decidesse di suicidarsi con un sonnellino all’ombra della sua zampa.  Due pesi due misure, ovvio. La teriofobia, forse parente di qualche ancestrale esigenza adattativa, ora diviene strumento cognitivo di una spietata biopolitica ai danni di tutto ciò che il moderno Homo consumens non può fagocitare senza imprevisti. Senza tediare la riflessione portando innumerevoli dati, comunque facilmente reperibili in rete, ovunque nel mondo le interazioni non pacifiche tra umani e grandi predatori sono in aumento (orsi neri in Nord America, grandi felini in India, alligatori negli States…) portando vittime da entrambe le parti e lasciando trionfante solo l’ignoranza etologico-ecologica delle nostre moderne società.
In ultima istanza, ogni controversia tra ciò che rimane dei rappresentanti del wilderness e gli sfortunati e spesso ingenui Sapiens è frutto di due dinamiche che se perseguite renderanno questo splendido Pianeta e la sua biosfera un deserto:
  • L’aumento vertiginoso della popolazione umana oltre la soglia dei 7 miliardi e dei suoi, spesso futili ma sempre crescenti, desideri materiali legati ad una distorta nozione di ben-essere[3].
  • L’incapacità di pensare alla Natura come ad una entità né da demonizzare né da sottovalutare, ma come un grande contenitore di possibilità portato ad agire attraverso dinamiche, non negoziabili, al di là del bene e del male.
Questa mancanza di comprensione-accettazione di una prospettiva antroposcopica e aspecista (o biocentrica) è il frutto di quel dominio immanente e trascendentale, materiale e simbolico dell’intero spazio-mondo da parte di una sola vorace specie. L’animalità per re-esistere deve farsi sottile, deve essere compressa e schiacciata in lager funzionali ad alimentare sempre nuova biomassa umana. Altrimenti deve essere scacciata tout court dalla propria dimora, come accade a tutte le specie ancora selvatiche di animali, piante e non  solo, per far posto a quel comodo e privo di imprevisti giardino-mondo che esiste al solo scopo di entertainment. In altre parole, parcere subiectis et debellare superbos!
Queste sono solo brevi e amare considerazioni che necessiterebbero di ben più lunga stesura e ben più coraggioso dire, ma nascono da uno spontaneo senso di disgusto nel vedere messo in scena in uno squallido teatrino mediatico la violenza istituzionalizzata su di un altro essere senziente, mascherata come buon senso ed esempio di razionale gestione del wilderness. La vita selvaggia, oramai, sta scomparendo, il bosco non può più essere che interiore poiché i suoi abitanti non sono più ben accetti nella nuova ontologia dell’Antropocene. Perdendo il bosco, però, perdiamo noi stessi, perdiamo la nostra grande occasione di vedere nell’altro dell’altro rispetto ad un oggetto d’uso o ad un nemico da annichilire. Perdiamo la possibilità che il bosco ed i suoi legittimi abitanti ci rammentino la nostra fragilità e caducità ricordandoci come la natura ed il cosmo non siano fatti a misura dei nostri desideri e ci insegnino a portare rispetto verso ciò che non è solo nostro, poiché laddove manca il rispetto non vi è civiltà ma solo macerie a compiersi.
La violenza contro il diverso è cifra di tutta la parabola umana, ma non per questo siamo esenti dal doverci impegnare in un cammino di emendazione. In siffatta prospettiva dobbiamo comprendere la necessità di ripensare alla demografia in termini aspecisti, poiché se una regione verde come il Trentino-Alto Adige estesa per 13 606,87 km² ed avente più di un milione di abitanti non riesce ad accettare una popolazione di plantigradi composta da soli 48-54 elementi, qualcosa palesemente non funziona. Questi numeri sono un emblema dell’insaziabilità di Homo sapiens  in quanto a spazio e risorse. Se ha davvero un senso il concetto di eccesso di legittima difesa, esso dovrebbe essere applicato allo scopo di definire crimine ecologico ogni abbattimento a scopo preventivo, senza dimostrazioni incontrovertibili di non avere alcuna alternativa praticabile.               
L’orsa KJ2, figlia del prezioso progetto Life Ursus[4],  è l’ennesimo cuore selvaggio che si è spento per mano dell’uomo. Immemori di essere anche noi figli ancestrali della foresta, di essere stati anche noi un tempo in manifesta balia della necessità e di una natura soverchiante, abbiamo ricusato che il mondo non è né un supermercato né un parco giochi e che i pericoli esistono e sempre esisteranno. Diradata questa coltre di ignoranza, un sano realismo ci impone la conoscenza e la prudenza come  scelta primaria per affrontare la vita onde evitare un troppo comodo e sempre immorale spargimento di sangue.
Per concludere questo paper che ha per me il sapore di un epitaffio, voglio ricorrere alle parole di uno dei miei maestri lungo l’infinita via della comprensione: “La debolezza, la fragilità, la vita senza colpa ci inorridiscono: addio KJ2, sigla di un’esistenza senza nome, simbolo di una violenza senza ragione[5].

[2]“Ciò che fa paura è semplicemente l’oggetto di una rimozione, ciò che deve essere sacrificato, addomesticato, respinto o, al limite, eliminato perché lo spazio dell’esperienza umana possa chiudersi e compiersi senza resti, ostacoli, disturbi. La civiltà poggia su una contrapposizione tra umano e non-umano che struttura sia materialmente che simbolicamente ogni aspetto dell’esperienza umana”. Maurizi M. 2012, Teriofobia in Asinus Novus: https://asinusnovus.net/2012/05/02/teriofobia/ .
[3] Per avere un’idea della crescita demografica e di quella dei consumi: http://www.worldometers.info/world-population/ & http://www.footprintnetwork.org/our-work/ecological-footprint/ .


[5] Pubblicato da Caffo L. su FB il 13 agosto 2017.

lunedì 21 agosto 2017

Clima: Il problema con i grafici



Il tweet di cui sopra arriva da Claudio Cerasa, direttore de "Il Foglio". Di lui, leggiamo:

Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio da dieci anni e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

E, aggiungiamo, non sa interpretare un grafico cartesiano. Il problema è che non è il solo. 

venerdì 18 agosto 2017

Un Siliron di nome Lucia



La fantascienza ha affrontato molte volte il tema dell'intelligenza artificiale che diventa cosciente e con una sua personalità, a partire da Isaac Asimov e Robert Heinlein. Qui, recensisco due romanzi italiani recenti su questo argomento: "Un'App di Nome Lucia" di Mauro Caneschi e "La Buccia della Terra" di Stefano Ceccarelli,


Mi ricordo ancora benissimo la prima Urania che ho comprato (e divorato in breve tempo). Era "La Luna è una Severa Maestra" di Robert Heinlein, pubblicata in due parti nel 1966. Heinlein non è annoverato fra i maestri della letteratura del secolo XX, ma forse dovrebbe esserlo per l'inventiva, la creatività, la capacità di raccontare che ha mostrato in tutta la sua lunga carriera di scrittore.

Con "La Luna è una Severa Maestra", Heinlein non aveva scritto soltanto uno splendido romanzo; ha anche affrontato in modo originale il tema dell'intelligenza artificiale che acquisisce un'autocoscienza che la rende parzialmente umana. Un tema caro alla fantascienza degli anni '50, basta ricordare come formasse uno dei temi principali per un altro autore ben noto di quel tempo, Isaac Asimov, le cui "Tre Leggi della Robotica" sono un punto fermo di tantissima altra fantascienza.

Sono passati più di cinquanta anni da allora e i concetti che il romanzo di Heinlein esplorava sono ancora con noi, con i loro problemi in gran parte irrisolti. Certo, non siamo ancora arrivati a un'entità artificiale autocosciente, ma la sensazione è che ci potremmo arrivare e che, in ogni caso, la nostra capacità di controllare il mondo virtuale che abbiamo creato ci sta già sfuggendo. E su una così incerta e così misteriosa, le previsioni scientifiche sono difficili. Meglio forse affrontare il problema dal punto di vista narrativo, così come Heinlein aveva fatto ai suoi tempi.

Così, mi è capitato di leggere due romanzi italiani recenti, tutti e due che affrontano lo stesso tema, quello dell'intelligenza artificiale, anche se in modi totalmente diversi. Uno è "Un'App di Nome Lucia", di Mauro Caneschi, l'altro "La Buccia della Terra" di Stefano Ceccarelli.


Cominciamo da "Un'App di Nome Lucia" che è un romanzo con una struttura narrativa classica: ci troviamo un misterioso omicidio, fughe nella notte, investigazioni e sparatorie. Nella storia, la creatura virtuale chiamata Lucia prende una parte molto simile a quella di "Mike," il computer intelligente del romanzo di Heinlein (il quale, fra le altre cose, occasionalmente appare con le fattezze femminili di "Michelle"). Lucia aiuta gli esseri umani protagonisti della storia principalmente per simpatia verso di loro, comportandosi un po' come la loro "spalla" per la maggior parte del romanzo.

Ma, gradualmente, Lucia prende sempre di più una vita propria. Verso la fine, si congeda dicendo che "è ora che mi dia da fare. Gli esseri umani sono un grosso problema per il pianeta. Un problema che deve essere risolto." Cosa intenda fare esattamente Lucia, non viene detto, ma questa sua esternazione un po' minacciosa accomuna il romanzo a una lunga serie di storie - a partire da quella del Golem di Praga - che vedono la presa di coscienza delle creature artificiali come il preludio alla loro presa di potere. E' un tema che abbiamo visto in tempi molto più recenti con "Hal" di "Odissea nello Spazio". Su questo punto, Asimov ha sostenuto che i robot sono creature superiori agli umani, nel senso che le tre leggi li rendono immuni al male, e che quindi è doveroso per loro aiutare gli umani, anche loro malgrado. Questo sembra essere anche il punto di vista di Caneschi, anche se il tema è solo accennato.

Il romanzo di Stefano Ceccarelli, La Buccia della Terra, invece, non rientra veramente nei canoni classici della narrativa
ma, in un certo senso, riprende da dove Mauro Caneschi ha lasciato, ovvero dalla nascita di un'intelligenza artificiale dominante. Non c'è nel romanzo una vera storia ma, piuttosto una serie di dialoghi che descrivono un futuro dominato dai "siliron" - creature robotiche di ferro e di silicio, manovrate da "Superbrain" una gigantesca server-farm autocosciente, l'evoluzione dell'app di nome Lucia. Superbrain è una creatura benigna che si impegna a riforestare la Terra e così a invertire il riscaldamento globale, fermando o riducendo anche le abitudini aggressive degli esseri umani, ai quali non rimane che occuparsi di arte e di filosofia. Curiosamente, quando i problemi sembrano risolti, Superbrain decide di suicidarsi, lasciando agli esseri umani alcuni saggi consigli e la responsabilità di gestirsi il loro pianeta. In questa conclusione, la storia di Ceccarelli va in parallelo con quella di Heinlein, dove il computer senziente Mike alla fine si ritira in un suo privato universo virtuale e non parla più agli esseri umani.

Sono due romanzi che hanno visioni nettamente diverse, ma che fanno bene la loro parte in quello che Borges diceva della letteratura umana: "un unico grande libro al quale ogni nuovo scrittore aggiunge qualche pagina." La storia del nostro rapporto con delle creature da noi stessi create e che ci potrebbero sostituire è ancora tutta da scrivere.



martedì 15 agosto 2017

Cosa resterà di questi 40 gradi?

Qui sopra, temperatura a Sesto Fiorentino, Firenze, misurata i primi di Agosto. Sembra che ormai il peggio sia passato, ma quest'anno è stata molto dura, come commenta qui di seguito Stefano Ceccarelli. 


di Stefano Ceccarelli
da Stop fonti fossili!

Quando la stagione che hai aspettato un anno intero diventa un inferno di fuoco, la vita non è più la stessa, come un ingranaggio ben oliato che di punto in bianco si ingrippa per sempre.

Quando si somma al bruciore di un caldo insopportabile, la luce intensa dell’estate non è più naturale portatrice di buonumore e voglia di vivere, e dunque cessa di essere quel rilassante liquido amniotico in cui immergersi una volta l’anno per rigenerare lo spirito, diventando piuttosto qualcosa di maligno da cui difendersi per sopravvivere, barricandosi in casa con le tapparelle rigorosamente abbassate. Le folte schiere dei depressi, dei fragili, dei poveri di spirito e di tasche, ne subiranno le ripercussioni negative nei mesi a venire, quando saranno nuovamente afflitti dai consueti fardelli.

Un’intera settimana a quaranta gradi come quella appena trascorsa viene subìta come una violenza dai corpi e dalla psiche di individui di una progenie evoluta in un clima temperato, geneticamente non programmata per vivere mesi interi immersi in una bolla melmosa d’aria tropicale. Dove è finita l’estate mediterranea, il caldo gradevole (di rado eccessivo), le serate in cui godere del fresco e spalancare le finestre? Che fine hanno fatto i generosi temporali rinfrescanti, quasi mai violenti, che dissetavano i terreni restituendoci i colori, l’abbondanza e i sapori autentici degli ortaggi di stagione? Perché l’Anticiclone delle Azzorre, quella tanto agognata “A” che fra giugno e luglio dall’Atlantico vedevamo avvicinarsi all’Italia nelle mappe meteorologiche illustrate in TV dal Colonnello Bernacca, ha lasciato il posto ad opprimenti, inamovibili alte pressioni africane che sembrano voler accompagnare i migranti che si spostano a nord?

Come sappiamo, la risposta che la scienza fornisce a queste domande, incardinata in un inappellabile j’accuse nei confronti dell’economia globalizzata alimentata dai combustibili fossili, è ancora testardamente negata dai molti che a sprezzo del ridicolo continuano a recitare la vecchia litania secondo cui “in estate ha sempre fatto caldo”.

Eh, no!  Come abbiamo imparato sulla nostra pelle, o meglio, come ci insegna la nostra pelle perennemente sudata, c’è caldo e caldo. Nelle città a quaranta gradi, la vivibilità è devastata: basta guardarsi intorno per scorgere facce allucinate, impregnate di una impalpabile infelicità; basta parlare con il primo che passa per intuire dalle banali frasi di circostanza una quotidianità fatta di nervi a fior di pelle, malesseri diffusi, lucidità mentale compromessa, ritmi biologici sconvolti dall’insonnia. Come se non bastasse, l’onnipresente asfalto e la scarsa copertura arborea amplificano il disagio già estremo, rendendo palese quanto il modello di sviluppo urbano realizzato negli anni del boom economico sia inconciliabile con gli scenari di cambiamento climatico. E per difendersi alla meno peggio dal caldo, chi può aggiunge benzina sul fuoco dei malcapitati pedoni delle strade arroventate: dalle auto in sosta con il motore acceso e il ronzio delle ventole di raffreddamento perennemente in funzione, al vento caldo sputato violentemente fuori dai condizionatori accesi negli edifici, tutto sembra congiurare contro chi, non potendo o volendo, si ostina a non aggiungere altro inquinamento e altre emissioni climalteranti all’inferno cittadino.

Ma in mezzo a tutto ciò, volenti o nolenti ci siamo noi, c’è la carne viva di donne e uomini che lavorano, in condizioni spesso intollerabili. Se la dignità del vivere fosse seriamente tenuta in considerazione e se l’articolo 1 della Costituzione italiana non fosse carta straccia, si dovrebbero ripensare per legge i tempi e le modalità di lavoro nelle città bruciate dall’arsura. Perché faticare per le strade o nei cantieri nelle ore più assolate mentre si viene rosolati in un forno non è più un’attività assimilabile al lavoro, quanto alla schiavitù. Naturalmente una siffatta proposta è politicamente impraticabile, perché the show must go on, ma del resto, di che ci meravigliamo, non è in fondo schiavitù ciò che ci fa muovere come burattini impazziti in un mondo che si trascina e ci trascina dritti verso l’Armageddon? Non è schiavitù ciò che ci impedisce di fermarci a riflettere, a guardarci l’un l’altro negli occhi e a chiederci qual è il senso di questa perenne agitazione?

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Oltre a ciò che sono stati, c’è da chiedersi cosa resterà dei quaranta gradi di questi giorni. Del nostro benessere fisico e mentale messo a dura prova si è già detto. Quanto a ciò che ci circonda, anche se i media non vedono l’ora di farci dimenticare questa ennesima “emergenza” lasciando il posto ad altre più o meno azzeccate priorità, si può scommettere che la spaventosa successione in crescendo rossiniano delle ondate di calore di questi due mesi lascerà il segno. Lo lascerà negli ecosistemi stressati, nei boschi senza vita devastati dalle fiamme, nelle zolle di terra indurite e inaridite su cui la prossima pioggia torrenziale scivolerà via, nei tanti fiumi e laghi ridotti a rivoli o pozze maleodoranti, nell’agricoltura in ginocchio, nelle falde freatiche sovrasfruttate oltre ogni limite per sopperire alla penuria d’acqua indotta da una siccità inedita per durata e intensità, nei cunei salini che si infiltreranno inesorabilmente nelle acque dolci sotterranee delle zone costiere, nei sempre più striminziti ghiacciai alpini.

In una parola, lascerà un segno, speriamo non indelebile, nella Natura agonizzante torturata dalla più evoluta ed ingrata delle sue creature.


sabato 12 agosto 2017

Povertà e auto da 20.000 Euro



Leonardo Libero ci presenta alcuni dati interessanti sul mercato dell'automobile in Italia. Curiosamente, gli Italiani, pure in gravi difficoltà economiche, continuano ad indebitarsi per comprare degli arnesi scintillanti e sostanzialmente inutili. 


Guest post di Leonardo Libero


L’Agenzia Fitch ha ritenuto che il rating dell’Italia sia ormai sceso fino ad appena due punti sopra la sufficienza. Eppure si continua a spremere la residua capacità di spesa degli Italiani sfruttando un pretesto ambientale infondato.

Secondo l‘Istat, nel 2016 erano 7.209.000 gli Italiani in seria difficoltà economica e nel 2015 erano in povertà assoluta il 6,1% delle famiglie italiane – cioè 4.598.000 persone – mentre erano in povertà relativa il 10,4% di esse, cioè 8.307.000 persone.

Ovvie conseguenze anche del fatto che nel 2014 solo il 55,7% degli Italiani fra i 15 ed i 64 anni di età aveva avuto un lavoro retribuito, mentre la media UE era stata del 64,9% e, nella UE, solo il tasso di occupazione dei coetanei croati e greci era stato inferiore a quello degli italiani. Andamento purtroppo confermato anche dall’ultimo rilevamento Eurostat sull’occupazione dei neolaureati) .

Secondo la Centrale Rischi Finanziari, nel 2016 il 34,6% (oltre un terzo !) degli Italiani maggiorenni (circa 15,6 milioni di persone) aveva debiti, in media per 34.253 Euro ciascuno (quindi per un “debito privato” totale di 533 miliardi, pari ad oltre il 25% del nostro Debito Pubblico !!).

Debiti che sarebbero logici, data la situazione, se gli Italiani li avessero contratti per esigenze di salute o per investimenti in qualche modo produttivi.

Invece i loro investimenti sono crollati fra il 2008 ed il 2015 ed ora languono mentre uno dei principali motivi dei loro indebitamenti non è stata la salute, bensì l’acquisto di una nuova auto per lo più in sostituzione di una vecchia (ma non per questo fuori uso), che viene rottamata; un motivo quindi consumistico e, in apparenza, voluttuario.

Nel 2015 essi ne hanno infatti acquistate, nuove di fabbrica, 1.574.872 (+ 18% rispetto al 2014), ad un prezzo medio di 19.800 Euro, spendendo - o indebitandosi – per un totale di 31.100.000.000 di Euro, come risulta da un compiaciuto comunicato dell’Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli (notare) Esteri.

Nel successivo 2016 (fonte ACI), ne hanno acquistate, sempre nuove di fabbrica, 1.824.968 (+ 15,88% rispetto al 2015), per un importo totale stimabile – al prezzo unitario medio risultato per il 2015 - in almeno 36.000.000.000 di Euro.

NOTA: i circa 67.000.000.000 di Euro spesi in 2 soli anni a quel titolo, sono pari ad oltre sei volte il costo previsto per il TAV Torino-Lione, da coprire in 16 anni, ad oltre otto volte quanto è costato al Paese il “disastro Alitalia” in quarant’anni e ad oltre 200 volte quanto gli è costato, in 35 anni, l’inesistente Ponte sullo Stretto di Messina.

Sul piano dell’Economia Nazionale – tanto povera di capitali e di investimenti - va notato che tali enormi somme in danaro e crediti sono state in maggior parte di fatto ESPORTATE, come gran parte di quelle spese in Italia allo stesso titolo nei 25 anni precedenti (*), perché sono prodotte all’estero la maggioranza delle auto più recenti e costose che circolano sulle nostre strade e perché anche la Casa che più ne produce in Italia ha la Sede Legale ad Amsterdam e quella Fiscale a Londra.

Sul piano del Riscaldamento Globale e dell’Ambiente in generale, va notato che il costo energetico complessivo delle 3.399.840 auto vendute in Italia - ma prodotte in ogni parte del mondo - nei due soli anni qui considerati – essendo di 30.000 kWh quello medio di ciascuna di esse (https://de.wikipedia.org/wiki/Graue_Energie) - è stimabile in 101.995.200.000 kWh e che perciò – dando in almeno 500 g di CO2 emessi per kWh di elettricità prodotto la media mondiale ( https://www.ipcc.ch/pdf/special-reports/sroc/Tables/t0305.pdf ) – la loro produzione deve aver fatto emettere almeno 51 milioni di tonnellate di CO2, insieme a grandi quantità di particolato, CO, SOx ed NOx, cioè degli stessi inquinanti per i quali oggi si mettono sotto accusa le auto diesel (http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/en09-emissions-co2-so2-and/emissions-co2-so2-and-nox ), che certo non hanno fatto del bene al Clima e all’Ambiente. Si aggiunga che ogni auto tolta dalla circolazione è un “rifiuto speciale” inquinante, che pesa almeno una tonnellata ed occupa almeno 6 metri quadri di territorio (così è p.es. la Fiat Panda), e che nel solo 2015 ne risultano “radiate dal PRA” 1.131.134 ( http://www.aci.it/laci/studi-e-ricerche/dati-e-statistiche/annuario-statistico/annuario-statistico-2016.html).

A far spendere tutti quei soldi agli Italiani – ed a far fare tutto quel danno alla Natura - non è stata però la loro ambizione a pavoneggiarsi con un’auto nuova, ma in prevalenza la pressione di un “sistema” che dal 1992 sfrutta le direttive sulle classi ecologiche “Euro” per perseguire il continuo rinnovo del parco circolante europeo, pretesa insensata sia sotto l’aspetto economico che sotto quello ambientale. Un “sistema” composto da Poteri Forti privati (spregiudicati al punto da truffarsi anche fra loro, taroccando i dati su emissioni e consumi, come il “dieselgate” ha rivelato), i cui motivi sono ovvii, e da Poteri Pubblici, nazionali e locali, il cui unico motivo per assecondare i disegni dei primi voglio sperare sia la superficialità della loro preparazione in materia di Ambiente ed Energia.

I principali mezzi e modi con cui il “sistema” opera sono :

a)- continuare a dare per vero – e perciò a far credere - che le emissioni dei motori delle autovetture siano la fonte principale dell’inquinamento urbano, nonostante che ciò sia stato smentito dal prof. Hans Peter Lenz fin dal 1999 ( http://www.automoto.it/eco/polveri-sottili-tutto-quello-che-non-vi-dicono.html ), dall’ing. Dario Faccini nel 2015-16 (https://aspoitalia.wordpress.com/2015/12/30/inquinamento-il-colpevole-nascosto/ ) e soprattutto dalla “prova regina” sperimentale (Galileo 1564-1642), dato che nessun blocco del traffico privato lo ha mai fatto diminuire (http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_29/blocco-traffico-targhe-alterne-non-servono-resta-l-allerta-smog-348291ee-ae65-11e5-a515-a44ff66ae502.shtml - http://www.altramantova.it/it/cronacaam/mantova-am/14410-emergenza-smog-pm10-sempre-fuori-legge-nonostante-i-blocchi-la-polizia-locale-controlla-70-auto-ed-eleva-6-multe.html?jjj=1493710279089 );

b)- imporre blocchi del traffico privato per dichiarati motivi ambientali, ma esentandone i veicoli più recenti e/o con certe caratteristiche; operazioni che la UE non ha mai richiesto (diversamente da quanto si è fatto e/o lasciato credere) e che in pratica obbligano chi debba poter circolare sempre, e non abbia un mezzo di tipo compreso fra quelli esentati, ad acquistarne uno (che però potrà non essere più esentato già dal blocco successivo !!); di tali limitazioni “selettive”, in Italia ne sono state imposte parecchie; le quali ovviamente, per i motivi di cui al punto a), non hanno fatto diminuire l’inquinamento, che anzi in quei giorni è talvolta aumentato, (http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/12/29/news/anci_decalogo_delle_buone_intenzioni_incertezza_sui_blocchi-130291182/ - http://www.ilgiornale.it/news/cronache/pisapia-blocca-traffico-smog-milano-aumenta-1208528.html ).

c)- incentivare con danaro pubblico la rottamazione sostitutiva dei veicoli meno recenti; in Europa lo hanno fatto alcuni Paesi, fra cui l’Italia, fino ad almeno il 2011 (https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/001/188/Volume_Completo_Automotive_con_copertina.pdf pag 193); in Italia, ancora nel 2014 sono stati stanziati a quel titolo 63,4 milioni di Euro ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/28/auto-il-6-maggio-tornano-gli-ecoincentivi-stanziati-634-milioni-di-euro/966836/ ) e nel 2016 sono state concesse agevolazioni fiscali ( https://scenarieconomici.it/incentivi-auto-2016-tante-agevolazioni-per-privati-e-aziende/ )

d)- invadere con la pubblicità di Case automobilistiche tutti gli organi di informazione; in Italia, gli investimenti pubblicitari per il settore auto, piuttosto limitato come numero di operatori, sono da molti anni inferiori, e per poco, solo a quelli per il vastissimo settore alimentare; con risultati anche assurdi, come mandare in onda gli spot di tre o quattro Case Auto diverse nel giro di pochi minuti e perfino in successione

http://wac.6f93.edgecastcdn.net/806F93/static.pubblicitaitalia.it/wp-content/uploads/2016/11/Nielsen-tab-2.pdf

http://www.primaonline.it/2016/02/11/228202/investimenti-pubblicitari-in-crescita-dell17-nel-2015-considerando-anche-il-web-in-calo-la-stampa-e-web-bene-la-radio-i-dati-nielsen-infografiche/

http://www.primaonline.it/wp-content/uploads/2014/02/Nielsen_20130218_nota_adv_dicembre.pdf

http://www.focusmarketing.it/a-gennaio-2013-pubblicita-in-calo-del-153/

e)- criminalizzare il motore diesel, che è la più recente trovata del “sistema” e tende a far sì che perfino chi ha un’auto Euro6, ma a gasolio, debba acquistare un’altra auto se vuole essere sicuro di poter circolare sempre; il presupposto è che il motore diesel sia il più inquinante, perché emette particolato ed ossidi di Azoto (NOx); presupposto anch’esso smentito dall’esperienza dato che, per esempio, nei diversi giorni di fermo delle auto diesel, imposti dal Comune di Torino lo scorso febbraio, l’inquinamento non è diminuito, ma è anzi aumentato

(http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/02/21/news/smog_confesercenti_attacca_il_blocco_degli_euro_diesel_4_un_eccesso_di_zelo_che_danneggia_-158815727/ )


Il perché ciò sia accaduto, e quel presupposto sia sbagliato, lo ha spiegato uno dei più esperti giornalisti italiani dell’automotive, Enrico De Vita, durante un convegno di venditori di auto ( http://www.italiabilanci.com/automotive-dealer-report-2017-24-febbraio-bolzano/ ), quindi ad un uditorio di esperti, con la relazione pubblicata qui http://ugobardi.blogspot.it/2017/03/il-motore-scoppio-e-ormai-obsoleto-come.html , la cui conclusione, in breve, è che il motore diesel è in realtà molto meno inquinante di quello a benzina e con emissioni molto meno rischiose per la salute umana; conclusione che è di dominio pubblico, ma che nessuno, dal “sistema”, ha contestato e meno che mai smentito.

Due ulteriori conseguenze negative e non trascurabili di tutto quanto sopra sono l’ingiusto danno inferto ai proprietari delle auto non esentate dai blocchi selettivi, che ne fanno crollare il valore di mercato praticamente a zero (anche a vantaggio delle Compagnie Assicurative), e la sottrazione di lavoro e reddito ad intere categorie artigianali come autoriparatori e piccoli carrozzieri, causato dal forzato ringiovanimento del parco circolante.

A quest’ultimo proposito, va ricordato:

- che il 14 giugno 2016 la Commissione Ambiente del Senato ha approvato all’unanimità una risoluzione in favore dell’Economia Circolare http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/istituzioni/2016/06/14/commissione-ambiente-senato-ok-risoluzione-su-economia-circolare_694fabdc-900c-40d2-b94d-2ad6bd11bd63.html ;

- che il 9 luglio 2015, alla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo, una risoluzione analoga era stata approvata con 394 voti a favore, 197 contrari e 82 astensioni, http://www.europarl.europa.eu/news/it/news-room/20150702IPR73644/economia-circolare-deputati-chiedono-un-cambiamento-sistemico ;

- che il 10 luglio 2015 il Parlamento Europeo, in seduta plenaria, ha adottato l’Economia Circolare come modello di sviluppo del futuro, anche per merito di deputati italiani http://www.movimento5stelle.it/parlamentoeuropeo/2015/07/leconomia-circolare.html ;

- e che il principio-base dell’Economia Circolare é l’azzeramento dei rifiuti ottenuto col “riutilizzare, aggiustare, rinnovare e riciclare” (altro che rottamare!!) http://www.torinosocialinnovation.it/post-it/economia-circolare-2/ .

Per concludere, e per chi pensasse che quelli sono pii desideri, porto l’esempio pratico, modesto ma convincente, di una relativamente piccola azienda francese, la Envie Anjou (http://www.envieanjou.com/produits.php), che dal 2000 ritira e ricondiziona elettrodomestici usati e che da allora ne ha rivenduti, con garanzia, ben 68.414 (come dire, in media, 4.000 all’anno !).

Leonardo Libero






(*) In Italia, nel periodo 2000-2014 (soli dati disponibili) , le “prime iscrizioni” di “autovetture” nuove di fabbrica sono state 269.230.725 (http://www.aci.it/fileadmin/documenti/ACI/Trasparenza/Open_Data/ANNUARIO_STATISTICO_OD.pdf )