giovedì 7 luglio 2016

La Brexit e l'equazione energetica

Da “Resource Insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

La preoccupazione dei mercati finanziari dopo che i votanti del Regno Unito hanno deciso di misura di lasciare l'Unione Europea (UE), un passo denominato Brexit, è stata in misura minore per gli effetti immediati – non ce ne sono, visto che ci vorrebbero fino a due anni perché la Gran Bretagna si distacchi – e in misura maggiore per un presagio che altri paesi vorranno a loro volta uscire.

Inoltre, alcuni pensano che sia probabile che l'indipendenza scozzese sarà di nuovo nell'agenda. Gli scozzesi erano fortemente a favore di rimanere nell'UE. Le forze politiche centrifughe sono negative per gli affari visto che gettano incertezza ed alla fine disgregazione se giungono a compimento come accaduto in Gran Bretagna riguardo alla UE. E, naturalmente, la Gran Bretagna non è il solo paese in Europa che ha movimenti secessionisti. Il popolo della regione della Catalogna, in Spagna, per qualche tempo ha inseguito un referendum per l'indipendenza dalla Spagna. Solo lo scorso anno i separatisti catalani hanno ottenuto la maggioranza del governo regionale. Il movimento cita ragioni culturali e linguistiche per dichiarare l'indipendenza, ragioni che potrebbero esse sostenute da molti gruppi in tutta Europa e portare ad ulteriore instabilità.


La domanda principale è perché c'è uno scontento montante rispetto all'integrazione globale economica e politica, non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti, come evidenziato dalle candidature di Donald Trump e Bernie Sanders.

La sconfitta di misura delle forze pro Europa è stata spiegata come un voto contro le politiche di regolamentazione di immigrazione ed affari della UE e contro la perdita di sovranità nazionale. Ma c'è anche un sentimento in atto secondo cui il passaggio verso una maggiore integrazione tramite la UE e trattati globali e regionali di commercio siano progettati principalmente per arricchire le élite finanziarie globali – mentre sottopongono i lavoratori dipendenti delle classi medio-basse a redditi stagnanti o persino in diminuzione in quanto competono contro il lavoro sottopagato dei paesi in via di sviluppo.

Nella conversazione sulla repulsione montante contro un'ulteriore integrazione, un fattore non viene discusso: l'energia. Con petrolio, gas naturale e carbone, le fonti di energia primaria mondiale, tutte ben al di sotto i loro prezzi alti dello scorso decennio, sembrerebbe tutto a posto sul fronte energetico. La Gran Bretagna, naturalmente, ha raccolto i benefici dei depositi di petrolio e gas naturale nel suo settore del Mare del Nord sin dagli anni 70. Tuttavia, dopo il 2005 il paese ha smesso di essere un esportatore netto di petrolio greggio e di liquidi del gas naturale. Le importazioni di gas naturale sono aumentate vertiginosamente con le importazioni del 2014 che sono giunte ad essere 19 volte quello che erano nel 2000. Entrambe queste tendenze puntano al declino dei giacimenti del Mare del Nord e al rientro della Gran Bretagna nella lega degli importatori di petrolio e gas, un'inversione improvvisa di una precedente tendenza a lungo termine ed una tendenza netta negativa per l'economia britannica.

Come vedrete sotto, questa tendenza combinata con gli effetti dei prezzi dell'energia alti sulla crescita della produttività hanno avuto un effetto negativo sui redditi dei votanti di classe medio-bassa che simultaneamente hanno pagato una percentuale maggiore dei loro redditi per le aumentate bollette energetiche. Questo doppio smacco probabilmente ha contribuito allo scontento fra tali votanti che stavano cercando un modo per esprimere la loro frustrazione e l'hanno trovato nel voto sulla Brexit.

Per tornare alle tendenze menzionate sopra, il 2005 si è rivelato essere non solo un punto di svolta per i giacimenti del Mare del Nord, ma anche per i mercati petroliferi di tutto il mondo. I prezzi sono saliti inesorabilmente ed hanno raggiunto il loro picco massimo nel 2008. Dopo che i prezzi sono scesi a circa 35 dollari al barile sulla scia del crash finanziario che ne è seguito, sono risaliti nettamente riguadagnando i 100 dollari al barile dall'inizio del 2011 e sono rimasti su medie record per più di 3 anni e mezzo. I prezzi alti erano collegati all'aumento della domanda da parte dell'Asia, ma anche da un drammatico rallentamento della crescita della produzione di petrolio in tutto il mondo.

Se la causa delle attuali difficoltà economica sono stati, in parte, i prezzi del petrolio alti che hanno rallentato l'economia mondiale, allora si intravede una 'Energy connection”. Gli attuali prezzi del petrolio bassi diventano un sintomo di debolezza economica piuttosto che un mero riflesso di un eccesso di offerta (gran parte del mondo al di fuori del Nord America ha anche sperimentato prezzi del gas naturale alti durante questo periodo sotto forma di costi elevati del gas naturale liquefatto in Giappone ed Europa, di gran lunga più alti del prezzo da conduttura degli Stati Uniti durante lo stesso periodo).

Inoltre, i prezzi alti dell'energia in generale possono essere collegati ad una crescita della produttività più lenta. Ed abbiamo visto la crescita della produttività globale ben al di sotto della tendenza attesa dal 2005, un anno che ha registrato un punto di svolta dei prezzi del petrolio. Ora, ecco la parte importante: la crescita della produttività è la base dell'aumento dei salari. Col declino della crescita della produttività è meno probabile che i datori di lavoro aumentino i salari in quanto quegli aumenti si mangerebbero la redditività.

Ci sono altre ragioni per cui chi percepisce dei salari potrebbe non avere degli aumenti, ma la mancanza di crescita della produttività è una importante.

Così, ecco cosa tutto ciò aveva a che fare col voto della Brexit: standard di vita stagnanti o in declino producono scontento fra il popolino abituato agli standard in ascesa. Le forze a favore del libero mercato e dell'integrazione economica sostengono che tale integrazione in federazioni di scambio più grandi porta ad una prosperità maggiore. Quando la prosperità è scomparsa come è accaduto in Irlanda, Spagna e Grecia, sono nati movimenti politici significativi nelle ultime due (Podemos in Spagna e Syriza in Grecia) che mettono in discussione l'ulteriore integrazione e suggeriscono perlomeno un cambiamento sostanziale dei termini per essere membri della UE. L'effetto su chi percepisce dei salari in Gran Bretagna è stato più subdolo, ma ha trovato la sua espressione nel voto della Brexit.

Analogamente, gli stipendi medi americani sono generalmente crollati dal 2007. La ripresa lungamente attesa della crescita dei salari deve ancora apparire negli Stati Uniti anche mentre un boom di petrolio e gas naturale collegato all'estrazione dai depositi di scisto ha gonfiato i redditi negli stati in cui si è verificato il boom stesso.

Come in Europa, gli elettori americani hanno cercato una ragione per le loro prospettive in declino e due candidati a presidente quest'anno hanno suggerito una ragione che ha senso per quegli elettori: gli accordi sul commercio globale hanno depresso i salari americani. Donald Trump ha detto che "rinegozierebbe" il North American Free Trade Agreement (NAFTA). Bernie Sanders si è opposto completamente al NAFTA nel 1993 mentre era parlamentare e continua ad opporsi ai trattati che crede puniscano il lavoro interno.

Mentre probabilmente il commercio non equo e gli accordi finanziari potrebbero essere la causa del declino delle fortune delle classi medio basse, non possono esserne l'unica causa. Questo perché la stagnazione dei salari è cominciata ben prima del NAFTA e ben prima dell'introduzione dell'Euro. E' istruttivo notare che negli Stati Uniti i salari orari medi si sono livellati nel 1973, l'anno dell'embargo petrolifero arabo. I costi energetici negli Stati Uniti sono aumentati drammaticamente dopo di ciò, anche se sono tornati a livelli più bassi negli anni 70 e 80. Eppure, il paese è stato sempre più dipendente dal petrolio estero ed ha spedito sempre più del suo reddito all'estero durante questo periodo per pagare quel petrolio. Durante il boom di petrolio e gas naturale recentemente esauritosi negli Stati Uniti, i prezzi alti hanno arricchito quelli coinvolti, trasferendo ricchezza da coloro che non lo erano. L'effetto sui salari complessivi sembra essere stato leggermente negativo. Niente di tutto ciò prova con certezza che i salari stagnanti sono causati dai prezzi alti dell'energia, amento delle importazioni energetiche o accordi commerciali sfavorevoli. Ma ci sono forti prove che siano implicati tutti e tre. In modo non sorprendente, l'energia è il tema che è stato trascurato in questa discussione, perché l'energia attualmente si trova in una depressione del prezzo ciclica, una depressione che potrebbe facilmente essere conseguenza dell'effetto ammortizzante che i prezzi alti precedenti hanno avuto sulla crescita dell'economia e della produttività.

Tali effetti sono difficili da inquadrare. E la mitologia che ci ha portato il braccio delle pubbliche relazioni dell'industria dei combustibili fossili è che non dobbiamo preoccuparci della fornitura di energia sufficiente – una storia che hanno propagandato sin dai tempi dei prezzi bassi del petrolio del 1998. Ad ogni passo sul cammino della strada verso il picco del prezzo del 2008, l'industria ha detto che le grandi forniture erano appena dietro l'angolo.

Quando un tipo speciale di fratturazione idraulica ha reso disponibili nuovi depositi di petrolio negli Stati uniti, solo prezzi prossimi ai 100 dollari li hanno resi economicamente praticabili (come possiamo vedere dai diffusi fallimenti fra quelle società che dipendono da quei depositi nell'ambiente dei prezzi bassi recente). Sono quei prezzi alti , secondo me, che hanno rallentato l'economia, facendo apparire ora il petrolio come apparentemente abbondante. Se non entriamo in una grande recessione o depressione, un aumento della domanda potrebbe fare lievitare i prezzi e mettere ulteriore pressione sulla produttività complessiva e nel frattempo aumentare le bollette energetiche per le famiglie. Ciò costituirebbe una fase di ulteriore scontento fra coloro che credono che l'aumento dell'integrazione economica globale stia facendo lor male piuttosto che aiutarli.