domenica 15 marzo 2015

Pentagono e Cambiamento Climatico: in che modo i negazionisti mettono a rischio la sicurezza nazionale

DaRolling Stone”. Traduzione di MR (h/t Paul Chefurka)

I capi delle nostre forze armate sanno cosa sta per succedere – ma i negazionisti al Congresso stanno ignorando gli avvertimenti

Di Jeff Goodell




Matt Mahurin 

La stazione navale di Norfolk è il quartier generale della flotta della Marina statunitense nell'Atlantico, una straordinaria raccolta di potere militare, ovvero, in un modo terribile, il culmine della gloria della civiltà americana. 75.000 marinai e civili ci lavorano, il loro l'affare quotidiano di mantenere la flotta lucida e pronta per il dispiegamento in qualsiasi momento. Quando l'ho visitata in dicembre, la portaerei USS Theodore Roosevelt era in porto, una macchina da guerra galleggiante di 1000 piedi di lunghezza che è stata centrale per le operazioni militari in Iraq e Afghanistan. Attrezzature caricate sul ponte dalle gru, marinai che si affrettavano su e giù lungo le passerelle. Elicotteri della marina ci sorvolavano. La sicurezza era stretta ovunque. Mentre stavo osservando uno dei nuovi piloni massicci di cemento a due piani della base che sono grandi quasi come un parcheggio di un ipermercato, mi sono avvicinato per dare un'occhiata più da vicino al USS Gravely, un cacciatorpediniere con missili teleguidati che ha passato molte ore di guardia nel Mediterraneo. Uomini armati sul ponte mi guardavano con circospezione – anche il mio ufficiale di scorta sembrava nervoso (“Penso che dovremmo fare un passo indietro”, ha detto, afferrandomi il braccio).

Non si possono passare 10 minuti in questa parte della Virginia senza percepire il senso profondo della storia: La Battaglia di Hampton Roads, una famosa battaglia decisiva fra due corazzate della Guerra Civile è avvenuta poco al largo. La base è stata un punto di partenza chiave per migliaia di marinai durante la Seconda Guerra Mondiale, molti dei quali non sono mai ritornati. I loro fantasmi sono ancora presenti. La zia o lo zio di chiunque ha una storia da raccontare su una notte in un porto a Brisbane o Barcellona, o sul modo in cui rimbombavano le loro orecchie la prima volta che hanno sentito un cannone sparare dal ponte di una nave.

Ma entro la durata di vita di un bambino nato adesso, tutto ciò potrebbe svanire nell'Oceano Atlantico. La terra su cui è costruita la base sta letteralmente sprofondando, il che significa che i livelli del mare in Norfolk stanno aumentando circa il doppio più velocemente della media globale. Non c'è nessuna altura, nessun luogo in cui ritirarsi. Sembra una palude che è stata dragata ed asfaltata – ed è praticamente così. Basta un temporale o una grande mareggiata e l'Atlantico invade la base – le  strade vengono sommerse, i cancelli d'ingresso invalicabili. Il giorno prima della mia visita, nell'area era passato il grecale. Sull'Isola di Craney, il principale deposito per il rifornimento della base, i veicoli militari erano sotto l'acqua di mare fino agli assi. L'acqua ha invaso una lunga area erbosa vicino ad Admiral's Row, dove i comandanti delle navi vivono in case sontuose costruite per l'Esposizione di Jamestown del 1907. “E' la più grande base navale del mondo e dovrà essere spostata”, dice l'ex vice presidente Al Gore. “E' solo questione di quando”.

Ci sono 29 basi militari, cantieri navali ed installazioni nell'area e molti di loro hanno gli stessi guai. Nella vicina base dell'Aeronautica di Langley, sede di due squadroni di caccia e quartier generale del Air Combat Command, i comandanti della base tengono 30.000 sacchetti di sabbia pronti da posizionare intorno agli edifici quando arriva una grande tempesta. Al Wallops Flight Facility della NASA, l'agenzia ha corazzato la linea costiera con 3 milioni di iarde cubiche di sabbia per proteggere le proprie rampe di lancio dai sollevamenti del mare. “La prontezza militare è già stata condizionata dall'aumento del livello del mare”, dice Virginia Sen. Tim Kaine, dice che con tutti gli allagamenti sta diventando difficile vendere una casa in alcuna parti di Norfolk. Se la fusione della Groenlandia e dell'Antartide Occidentale continua ad accelerare ai tassi attuali, gli scienziati dicono che Norfolk potrebbe avre più di sette piedi di aumento del livello del mare per il 2100. In 25 anni, le operazioni in gran parte di queste basi è probabile che verranno seriamente compromesse. Entro 50 anni, gran parte di esse potrebbero essere spacciate.

Se la regione venisse colpita da un grande uragano, la resa dei conti potrebbe arrivare anche prima. “Si potrebbero spostare alcune navi in altre basi o costruire nuove basi più piccole in posti più protetti”, dice il Capitano della Marina in pensione Joe Bouchard, un ex comandante della Stazione Navale di Norfolk. “Ma i costi sarebbero enormi. Parliamo di centinaia di miliardi di dollari”.

Il Contrammiraglio Jonathan White, l'oceanografo capo della Marina e capo della sua task force sul cambiamento climatico, è una delle persone più ben informate fra i militari su cosa stia veramente accadendo nel nostro pianeta in rapido riscaldamento. Ogni qualvolta un altro ufficiale o un deputato mette all'angolo White e lo incalza sul perché passi tanto tempo a pensare al cambiamento climatico, lui non cerca nemmeno di spiegare l'espansione termica degli oceani o le dinamiche del ghiaccio nell'Artico. “Li porto semplicemente a Norfolk”, dice White. “Quando vedi cosa sta succedendo laggiù, ti da un'idea di cosa significhi il cambiamento climatico per la Marina – e per l'America. E si può capire perché siamo preoccupati”.

Coloro che parlano prevalentemente di cambiamento climatico – scienziati, politici, attivisti ambientali – tendono ad inquadrare la discussione in termini economici e morali. Ma il mese scorso, con una svolta drammatica, il presidente Obama ha parlato di cambiamento climatico in un contesto esplicitamente militare: “Il Pentagono dice che il cambiamento climatico pone rischi immediati alla nostra sicurezza nazionale”, ha detto nel suo Discorso sullo Stato dell'Unione. “Ci dovremmmo comportare di conseguenza”.

Da un lato, questa è solo politica scaltra, un modo per parlare del cambiamento climatico a persone alle quali non importa dei tassi di estinzione fra i rettili o dei prezzi del cibo in Africa Orientale. Ma è anche un modo di colpire tutti i negazionisti del Congresso che hanno bloccato l'azione climatica – molti dei quali risultano essere grandi sostenitori dei militari. La Commissione per i Servizi Armati del Senato è costituita da personaggi come James Inhofe dell'Oklahoma, Ted cruz del Texas e Jeff Sessions dell'Alabama ed è condotto da John MacCain dell'Arizona che, prima di correre per la presidenza nel 2008, era stato un esplicito sostenitore dell'azione climatica, ma negli ultimi anni è rimasto in silenzio riguardo al problema. La Commissione per i Servizi Armati  ora è presieduta dal repubblicano Mac Thornberry del Texas, che nel 2011 in un editoriale ha sostenuto che la preghiera è una risposta migliore del taglio dell'inquinamento da carbonio alle ondate di calore e alla siccità.

A qualsiasi ufficiale che abbozzi un collegamento fra cambiamento climatico e sicurezza nazionale è garantita una reazione rabbiosa da parte della destra. Il Segretario alla Difesa uscente Chuck Hagel di recente ha definito il cambiamento climatico “un moltiplicatore di minacce” che “ha il potenziale di esasperare molte delle sfide che stiamo affrontando oggi – dalle malattie infettive al terrorismo”. In risposta, l'editoriale del Wall Street Journal ha trattato Hagel come un delirante 'abbraccia alberi': “Agli americani che potrebbero morire per mano dello Stato Islamico non importerà del fatto che il signor Hagel si mobiliti contro la fusione dei ghiacciai”. In un discorso a Jakarta dello scorso anno – una città di quasi 30 milioni di abitanti che sta rapidamente sprofondando – il Segretario di Stato John Kerry a definito il cambiamento climatico “forse la più spaventosa arma di distruzione di massa del mondo” e lo ha paragonato al terrorismo, alle epidemie e alla povertà. McCain ha immediatamente respinto le preoccupazioni di Kerry e lo ha accusato di “svolazzare per il mondo dicendo qualsiasi cosa”; l'ex leader repubblicano Newt Gingrich ha twittato, “Ogni americano a cui importi della sicurezza nazionale deve richiedere le dim issioni di kerry. Un segretario di stato delirante è pericoloso per la nostra sicurezza”.


Prima che il cambiamento climatico diventasse un tabù per i repubblicani, era possibile anche per i politici conservatori avere discussioni razionali sul tema. Nel 2003, sotto Donald Rumsfeld, l'ex segretario alla difesa del presidente George W. Bush, il Pentagono ha pubblicato un rapporto intitolato “Uno scenario di cambiamento climatico improvviso e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale degli stati uniti”. Commissionato da  Andrew Marshall, che a volte all'interno del Pentagono viene scherzosamente chiamato Yoda – e che era un favorito di Rumsfeld – il rapporto avvertiva che le minacce alla stabilità globale poste da un rapido riscaldamento eclissavano ampiamente quelle del terrorismo. Parte della scienza climatica del rapporto era sbagliata, ma le conclusioni più ampie non lo erano. “Distruzione e conflitto saranno caratteristiche endemiche della vita”, affermava il rapporto. “La guerra definirà di nuovo la vita umana”.



Un tempo voce autorevole sul cambiamento climatico, il senatore John McCaine, presidente dellla Commissione per i Servizi Armati del Senato, ora parla raramente dei problemi. Andrew Harper/Bloomberg/Getty

Anche McCain, ora fermamente nel campo negazionista, non esitava a delineare la connessione fra cambiamento climatico e sicurezza nazionale. “Se gli scienziati hanno ragione e le temperature continuano a salire”, ha detto al Senato nel 2007, “potremmo essere di fronte a conseguenze ambientali, economiche e di sicurezza nazionale ben al di là della nostra capacità di immaginazione”.

Questo tipo di discorso è svanito dal partito dopo il 2008, quando il Partito Repubblicano si è trasformato in una succursale delle Industrie Koch. Da allora, i Repubblicani hanno lavorato duramente per minare qualsiasi connessione fra clima e sicurezza nazionale. Caso in questione: nel 2009 l'allora direttore della CIA Leon Pennetta ha silenziosamente fatto partire il Centro per il Cambiamento Climatico e la Sicurezza Nazionale. E' stato un tentativo diretto da parte della comunità dell'intelligence di mettere insieme una migliore conoscenza dei cambiamenti in arrivo. Fra le altre cose, il Centro ha finanziato un grande studio sulla relazione fra cambiamento climatico e stress sociale, con il patrocinio dell'Accademia Nazionale delle Scienze, una delle organizzazioni scientifiche più rispettate del paese. I negazionisti climatici del Congresso non hanno gradito, specialmente il repubblicano John Barrasso del Wyoming, uno stato Big Coal. Quando il rapporto è stato completato, Panetta aveva lasciato la CIA e il suo successore, il generale David Petraeus, lo ha lasciato in un cassetto. “Abbiamo percepito una pressione costante ad annacquare le nostre conclusioni”, dice uno dei coautori del rapporto dell'Accademia Nazionale. Il giorno in cui è stato pubblicato il rapporto, la conferenza stampa è stata improvvisamente cancellata e il rapporto è stato sepolto. Poche settimane dopo, il Centro per il Cambiamento Climatico e la Sicurezza Nazionale è stato sciolto.

Barrasso è stata anche una figura chiave nel far deragliare le audizioni al Senato sulla connessione fra clima e sicurezza nazionale. Lo scorso anno Daniel Chiu, uno dei maggiori strateghi del Pentagono, ha intelligentemente testimoniato sulle implicazioni di sicurezza nazionale del cambiamento climatico. Ma nelle domande e risposte che sono seguite, Barasso è finito in un mondo di fantasia, facendo a Chiu domande sui “sindacati criminali internazionali globali” che stanno manipolando le politiche ambientali europee “per aiutare e sostenere le organizzazioni terroriste e i cartelli della droga che vogliono danneggiare noi e i nostri alleati”.

I negazionisti del Congresso hanno incalzato il Pentagono dove gli ufficiali militari sono più sensibili: il loro bilancio. Lo scorso anno, i repubblicani hanno presentato un emendamento sul disegno di legge per gli stanziamenti alla difesa che ha proibito al Pentagono di spendere soldi nell'implementazione delle raccomandazioni dell'ultimo rapporto dell'IPCC dell'ONU. “L'emendamento non ha avuto effetti sul bilancio della difesa, visto visto che le raccomandazioni dell'IPCC in realtà a noi non si applicano”, mi ha detto un interno del Pentagono. “Ma l'intento era chiaro: questa sarà una guerra”.

La scala delle risorse militari che sono a rischio a causa del clima che cambia rapidamente è sbalorditiva. Il Pentagono gestisce più di 555.000 strutture e 28 milioni di acri di terreno – virtualmente tutti subiranno l'impatto del cambiamento climatico in qualche modo.

Quasi ogni base navale o aeronautica nella costa orientale è vulnerabile all'aumento del livello del mare e alle tempeste, compresa la base dell'aeronautica di Eglin, la più grande base aerea degli Stati Uniti, che si trova nel bassopiano di Panhandle in Florida e la base aeronautica di Patrick sulla costa atlantica della Florida. Ad occidente, il problema spesso sono le siccità e le alluvioni improvvise. Fort Irwin, una base dell'esercito di sette miglia quadrate nel sud della California, sul margine del deserto del Mojave, ha problemi con entrambi. L'epica siccità della California ha messo in discussione le forniture idriche a lungo termine della base. Fort Irwin è una delle sole basi negli Stati Uniti con lo spazio e l'isolamento da permettere la simulazione di una guerra di carri armati in scala. Allo stesso tempo, la base è stata colpita da eventi piovosi estremi. Nell'agosto del 2013, quando l'equivalente di un anno di pioggia è caduto in 80 minuti, l'alluvione ha causato alla base 64 milioni di dollari di danni.

Su in Alaska, il problema è lo scongelamento del permafrost e l'erosione costiera causata da tempeste più forti e maree più alte. E installazioni radar di primo avvistamento dell'aeronautica, che aiutano gli Stati Uniti a mantenere una stretta sorveglianza da qualsiasi cosa possa essere lanciata verso di noi dalla Corea del Nord o dalla Russia, sono state colpite in modo particolarmente duro. In un'installazione, sono stati persi 40 piedi di spiaggia, mettendo in pericolo l'affidabilità del radar. Presso altre installazioni, il permafrost che si scongela ha causato l'inclinazione e il disallineamento dei radar.

In alcuni luoghi, questi impatti sono poco più che costosi fastidi. Ma in alti, il futuro di intere installazioni, molte delle quali virtualmente insostituibili a causa del loro posizionamento geografico e strategico, è messo a repentaglio. La base navale statunitense Diego Garcia, un piccolo atollo corallino nell'Oceano Indiano, come le vicine Maldive, è sicuro che scompaia. Costruita durante la Guerra Fredda, la Diego Garcia ha dato ai militari statunitensi appoggio per contrastare l'influenza sovietica nella regione, così come per proteggere le linee navali al di fuori del Medio oriente. In anni più recenti, questo raro bene strategico è diventato un nodo logistico cruciale per mandare approvvigionamenti alle forze alleate in Medio Oriente, nel mediterraneo e nell'Europa Meridionale. La base ospita anche l'attrezzatura della Rete di Controllo Satellitare dell'aeronautica usata per controllare il GPS. Le navi e l'attrezzatura possono essere spostate abbastanza agevolmente, ma abbandonare un punto d'appoggio militare in una parte vitale ma infiammabile del mondo non è una cosa che i militari amano fare. “Per la Marina, la presenza conta”, dice il Contrammiraglio in pensione David Titley.

Il Pentagono sta esaminando le sue 704 installazioni e siti costieri in un grande studio per cercare di capire quali basi siano più a rischio. Alla fine dovranno essere prese alcune decisioni difficili su quali chiudere, spostare o proteggere. Anche speculando sul numero di possibili chiusure, è un argomento troppo caldo da toccare per chiunque al pentagono in questo momento. Ma il processo non può essere rimandato a lungo. Il prossimo incontro della Commissione per il Riallineamento e la Chiusura delle Basi (BRAC) potrebbe tenersi nel 2017. “Nel BRAC, tutte le decisioni sono basate sul valore militare”, dice John Conger, il vice sottosegretario della difesa, che è responsabile del BRAC. “Il cambiamento climatico condizionerà il valore militare dell'installazione?. Be', certo che lo condizionerà. La domanda è: dominerà l'equazione? E non credo che lo farà – ancora”.

Proprio come ci sono punti caldi del cambiamento climatico, ci sono anche punti caldi del negazionismo climatico – e la Virginia è uno di questi. L'Assemblea Generale della Virginia dominata dai repubblicani è stata ostile alla discussione del cambiamento climatico – un legislatore ha chiamato l'aumento del livello del mare “un termine di sinistra”. La frase politicamente accettabile in Virginia è invece “alluvione ricorrente”.


Man mano che i livelli del mare si alzano, le alluvioni sono diventate più comuni nella base. Michael Pendergrass/U.S. Navy

Ciò rende difficile per la Marina affrontare il problema più immediato che ha Norfolk: mantenere aperte le proprie strade. Uno studio dell'Istituto per la Scienza Marina della Virginia ha identificato quasi 300 miglia di strade vulnerabili alle alluvioni nell'area di Norfolk. “Se le persone non possono andare al lavoro alla base perché le strade vengono allagate, abbiamo un grande problema”, dice il Capitano J. Pat Rios, che è il responsabile delle strutture della Marina nella regione dell'Atlantico centrale. Ma le strade a Norfolk sono responsabilità dello stato e ricostruirle ora non è una priorità. Siccome molti degli uomini e donne della legislatura della Virginia non credono che il cambiamento climatico sia un problema urgente, non vogliono spendere troppi soldi nell'affrontare le minacce che pone. “Trovano strade da sistemare in altre parti dello stato”, dice Joe Bouchard.

Per ora, la strategia della Marina è quella di guadagnare tempo. Alla fine degli anni 90, gli ingegneri della Marina si sono resi conto che 13 moli della base, alcuni dei quali risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, stavano raggiungendo la fine del loro ciclo di vita. Siccome erano stati costruiti in un periodo in cui nessuno pensava all'aumento del livello del mare, i moli erano relativamente bassi rispetto al livello dell'acqua. Con l'alta marea, le strutture presenti lungo il lato inferiore delle piattaforme dei moli – elettriche, di vapore, telefoniche, Internet – venivano spesso sommerse dall'acqua, rendendole inutilizzabili. “Non era un problema da poco – non era un problema operativo minore”, dice Bouchard. “L'aumento del livello del mare stava interferendo con la prontezza al combattimento della flotta atlantica”.

Finora, sono stati costruiti 4 nuovi moli, che sono più alti, più forti e meglio progettati di quelli vecchi. Bouchard, che è stato comandante mentre i primi moli nuovi venivano costruiti, dice “sono stati costruiti con l'aumento del livello del mare in mente”. Ma sulla base nessuno vuole parlare direttamente di spendere soldi per affrontare l'aumento del livello del mare, principalmente perché sono preoccupati di attrarre il giudizio da parte dei negazionisti climatici del Congresso, che sono felici di sottolineare qualsiasi spesa che abbia la parola “clima” dentro. Piuttosto, molte persone fra i militari finiscono per parlare di clima come gli adolescenti parlano di sesso – con parole in codice e un linguaggio suggestivo. “Non abbiamo alzato i moli a causa del cambiamento climatico”, mi dice il Capitano Rios durante la mia visita alla base. Non è che mi faccia l'occhiolino, ma quasi.
“Allora perché li avete alzati?” Chiedo.

"Perché ci servono nuovi moli. E visto che li stavamo costruendo, non costava tanto di più farli più alti”.

Ma costruire moli più alti non salverà la base di Norfolk. A prescindere da quanti soldi spenda il Pentagono, non importerà se le persone non possono raggiungere la base perché le strade sono sott'acqua o nessuno vuole vivere nell'area perché il valore delle loro case cola a picco. “Per salvare la base, bisogna salvare la regione”, dice Bouchard. Con l'aiuto della Casa Bianca, lo stato e i funzionari locali di recente approntato di recente un progetto pilota biennale con la Marina per cominciare ad affrontare questi problemi. Ma al momento le soluzioni sono molto lontane.

L'aumento del livello del mare è solo una delle minacce alimentate dal clima che stanno rendendo il mondo più pericoloso e volatile. Le siccità hanno contribuito all'aumento del prezzo del cibo che ha innescato la rivolta della Primavera Araba in Egitto nel 2011; ha anche aiutato ad innescare la guerra civile in Siria. Nelle Nigeria settentrionale, una regione destabilizzata da cicli di siccità e alluvioni estremi, Boko Haram sta terrorizzando i villaggi e uccidendo migliaia di nigeriani.

Il cambiamento climatico sta anche rimodellando i confini dei continenti. In nessun luogo più che nell'Artico, che è probabile che diventi un grande punto critico nelle dispute territoriali e nelle guerre per le risorse del futuro. “La fusione del ghiaccio sta aprendo un nuovo oceano”, dice l'Ammiraglio Gary Roughead, che è stato capo delle operazioni navali statunitensi dal 2007 al 2011. “E' un evento che si verifica una volta ogni millennio”. Il 13% del petrolio non scoperto del mondo si trova al di sotto dell'Artico, così come il 30% del gas naturale non scoperto e più di un trilione di dollari di ricchezza in minerali. “Il modo migliore in cui l'ho sentito spiegare”, dice il Contrammiraglio Daniel Abel della Guardia Costiera statunitense, è questo: “immaginate se aveste un canale di Panama e un'Arabia Saudita in energia che si manifestano nello stesso posto in un'area sotto la vostra responsabilità. Come la prendereste?”

Si possono già intravedere i segni di un futuro militarizzato nell'Artico. Nel 2007, i soldati russi si sono immersi a 17.000 piedi sotto il Polo Nord in un mini sottomarino ed hanno piantato la bandiera russa nel fondo del mare, marcandolo come loro territorio. “Non siamo nel 15° secolo – non si può andare in giro a piantare bandiere” per rivendicare dei territori, ha detto sprezzante il ministro per gli Affari Esteri canadese Peter MacKay. Lo scorso settembre, sei jet da combattimento russi sono stati individuati vicino all'Alaska; quando i jet statunitensi e canadesi hanno intercettato gli aerei russi a circa 55 miglia dalla costa – ancora al di fuori dello spazio aereo americano, ma più vicino di quanto non volino normalmente – i russi hanno girato e si sono diretti verso casa, ma è stato un incontro ravvicinato, un incontro che si sta verificando con frequenza crescente negli ultimi mesi. A novembre, un sottomarino russo nel mare di Barents, vicino alla Groenlandia, ha testato un missile intercontinentale Bulava – il Bulava è l'ultima mortale arma nucleare russa. Il missile ha una gittata di circa 5.000 miglia e può essere caricato con 10 testate nucleari, ognuna delle quali può essere manovrata individualmente. Un Bulava lanciato da un sottomarino nell'Artico potrebbe facilmente raggiungere Boston, New York o Washington D.C.

All'interno del Pentagono, queste provocazioni sono state viste come qualcosa di più dei vecchi giochi della Guerra Fredda. Agli occhi di alcuni pianificatori, Putin stava mandando un messaggio neanche tanto nascosto del fatto che pensa che all'Artico allo stesso modo in cui gli americani un tempo pensavano al Far West: un territorio vasto e non civilizzato di risorse che sarà dominato da chiunque lo rivendichi per primo.

Dopo la Guerra Fredda, i militari statunitensi hanno ampiamente dimenticato l'Artico. Era troppo ostile, troppo proibitivo, troppo costoso operare lassù e senza i sovietici di cui preoccuparsi, c'erano poche ragioni per farlo. Negli anni 90, man mano che Big Oil ha sviluppato progetti per esplorare la regione per il petrolio e il gas, la preoccupazione della Marina è cresciuta - Roughead dice che una grande esplosione di una piattaforma di trivellazione nell'Artico “farebbe sembrare la Deepwater Horizon una passeggiata”. Ma date le complessità della trivellazione nell'Artico, questa sembrava una minaccia lontana nel futuro.


Nel 2007 un sottomarino russo ha piantato la bandiera del suo paese sul fondo del mare dell'Artico. La fusione delle calotte glaciali hanno aperto un nuovo oceano nella regione ricca di risorse che gli Stati Uniti sono mal equipaggiati a proteggere. RTR Russian Channel/AP Images

I capi della Marina hanno cominciato a pensare alla regione in modo diverso nel 2007 che, quando la storia del cambiamento climatico sarà scritta, risulterà uno dei punti di svolta. Quell'estate, gli scienziati erano sorpresi della sparizione inattesa del ghiaccio marino che ha liberato 1 milioni di miglia quadrate di acqua – 6 California – oltre della media, da quando i satelliti hanno cominciato le misurazioni nel 1979. Roughead ha messo insieme una task force della Marina per capire cosa stesse succedendo. “Volevo capire realmente le tendenze a lungo termine così potevamo cominciare a pensare strategicamente alle sfide che avremmo potuto affrontare nell'Artico e cosa avremmo dovuto fare lassù”, dice Roughead. “L'idea era di approfondire questo aspetto anziché seguire le grida del Pentagono, 'Hey ragazzi, il cambiamento climatico è una cosa grossa'”.

Gli scienziati della Marina stimano che per l'estate del 2025 la fusione dl ghiaccio marino estivo nell'Artico sarà abbastanza grande da permettere che i trasporti transpolari si espandano sulla Rotta del Mare del Nord, che passa attraverso il Mare di Barents lungo la costa russa e riduce il tempo di transito fra Asia ed Europa di un terzo. Man mano che il ghiaccio si scioglie, ci saranno più turisti che navigano nel Passaggio a Nordovest lungo la costa canadese. Ci saranno più trivellazioni nel Mare di Chukchi Sea a ovest  dell'Alaska. Ci sarà più traffico verso la Groenlandia, dove le società minerarie si stanno già mettendo in coda per estrarre i minerali che verranno resi accessibili dal ritiro delle calotte polari. Con tutto questo nuovo traffico marittimo, è inevitabile che la Marina dovrà rispondere a sempre più incidenti lassù, dalle missioni di ricerca e salvataggio al probabile contrasto delle azioni aggressive della Marina russa. O, allo stesso modo probabile, da parte dei cinesi, che sono desiderosi di attingere dalle ricche riserve di petrolio e gas dell'Artico. “La Marina degli Stati Uniti non cede un oceano a nessuno”, sostiene Titley. “Siamo una grande potenza”.

Ma la Marina degli Stati Uniti è anche, secondo Roughead, “tristemente impreparata” ad operare nel ghiacciato e spietato Artico. La Marina non ha buone capacità di previsione meteo lassù; le comunicazioni satellitari sono inaffidabili; solo circa il 10% del fondo del mare è stato scandagliato, quindi i naviganti sono inconsapevoli degli ostacoli sottomarini. Le missioni sottomarine sono diventate anche più pericolose a causa dell'imprevedibilità dei cicli di congelamento del ghiaccio marino .La cosa più importante, siccome nessuno nella Marina aveva dato priorità alla necessità di operare nell'Artico, poche navi della Marina sono preparate al freddo. I loro sistemi di idraulici e di ventilazione non funzionano appropriatamente a temperature di congelamento, i loro scafi non sono rinforzati per il ghiaccio. Come dice Titley, “L'incubo di ogni comandante della Marina è che succeda qualcosa nell'Artico – una nave piena di turisti che affonda, un attacco terroristico, un incontro coi militari russi – e di dovere prendere il telefono e dire, 'Mi dispiace, signor Presidente. Vorremmo fare qualcosa per questo, ma non abbiamo proprio l'equipaggiamento che ci permette di rispondere a questa situazione'”.

Quando si tratta di sicurezza nell'Artico, nessun equipaggiamento è importante quanto un rompighiaccio. Virtualmente ogni nazione che rivendica l'Artico sa questo: la Russia ha 43 rompighiaccio (sei dei quali sono alimentati da propulsori nucleari); il Canada ne ha 13; la Finlandia ne ha 9. Gli Stati Uniti ne hanno uno, il Polar Star, che è gestito dalla Guardia Costiera statunitense. Ha quasi 40 anni. Entro un decennio, verrà rottamato e non ci sono progetti per costruirne un altro. “Non finanziandoli”, dice Titley, “mandiamo un telegramma al resto del mondo dicendogli che l'Artico non ci interessa”.

Il cartellino del prezzo di un nuovo rompighiaccio è di un miliardo di dollari – non economico, ma circa un terzo del prezzo di un cacciatorpediniere. E non è una cosa che il repubblicano Duncan Hunter, il negazionista climatico di San Diego che presiede il sottocomitato della Casa che sovrintende agli affari della Guardia Costiera, voglia sentirsi dire. (Anche se sembra essere a favore di un Artico libero dal ghiaccio: “Migliaia di persone muoiono ogni anno di freddo, quindi se avessimo un riscaldamento globale salverebbe delle vite”, ha detto a un gruppo di californiani nel 2009). Dal punto dell'osservatore del Pentagono, il problema non  è solo che i negazionisti come Hunter non vedono la necessità di rompighiaccio, “non vedono la necessità di nessuno pensiero strategico riguardo all'Artico”. Senza rompighiaccio in attività, il californiano John Garamendi, il rappresentante democratico nel subcomitato di Hunter, ha detto alla Associated Press che “il controllo dell'Artico è nelle mani della Russia”.

L'altro problema è la mancanza di leggi del nuovo oceano, specialmente quando si tratta di esplorazione per petrolio e gas sotto il ghiaccio in ritirata. Ogni nazione gode dei diritti di sovranità fino a 200 miglia al largo della proprie coste – ma oltre a quel limite? Come dovrebbe essere suddiviso?Nel 2010, un Ammiraglio cinese ha dichiarato che siccome la Cina ha il 20% della popolazione mondiale, dovrebbe avere il 20% delle risorse dell'Artico. Giusto o meno, questo non è certamente un punto di vista che la Russia – o gli stati Uniti, per quello che vale – è improbabile che approvi.

Per risolvere questo tipo di rivendicazioni, così come per dare una struttura legale ai diritti e alle responsabilità dei paesi rispetto agli oceani, i membri delle Nazioni Unite hanno passato decenni a negoziare un accordo, formalmente conosciuto come Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). Fra le altre cose, la UNCLOS riconosce che le nazioni hanno il diritto di rivendicare le risorse lungo quello che è conosciuto come “estensione della loro piattaforma continentale”, che fondamentalmente significa qualsiasi caratteristica del terreno che si estende al di là del confine delle 200 miglia. L'accordo è stato portato a termine nel 1982 ed ora è stato firmato da altri 60 paesi, compresa la Russia e tutte le altre nazioni artiche – eccetto gli Stati Uniti. Anche se l'accordo è ampiamente sostenuto da Big Oil, dai capi  militari statunitensi e da tutti i presidenti americani da Reagan in poi, i contrari come il senatore Inhofe, decano dei negazionisti climatici al Congresso, e il repubblicano dell'Ohio Jim Jordan sono stati capaci di bloccare la partecipazione degli Stati Uniti affermando che l'accordo contrasta con la libertà americana e che la distribuzione delle royalty dell'accordo favorirebbero un “una burocrazia corrotta in stile ONU” per deviare miliardi di dollari dall'economia statunitense “tassando” i profitti delle multinazionali.

Le risorse che gli Stati Uniti potrebbero giustificabilmente rivendicare se riconoscessero il Diritto del Mare sono ampie. Nella sola Alaska, la piattaforma continentale si estende a 600 miglia dalla costa, con 73 miliardi di barili di petrolio stimati e di gas naturale equivalente al petrolio. I sostenitori dell'accordo stimano che queste risorse potrebbero generare 193 miliardi di dollari di introiti federali, statali e locali in un periodo di 50 anni.

Mettendo da parte le conseguenze economiche, da un punto di vista della sicurezza nazionale, è folle rimanere fuori dal solo accordo internazionale che può risolvere dispute sulle rivendicazioni territoriali prima che crescano. “Credo che la nostra presenza nel trattato costituirebbe una maggiore stabilità e sicurezza e non solo nell'Artico”, sostiene Roughead. “Favorirebbe anche che le nostre rivendicazioni sulla piattaforma continentale estesa vengano riconosciute a livello internazionale”. In quanto all'argomentazione avanzata da Inhofe ed altri per cui aderendo al trattato indeboliremmo i poteri della marina statunitense e della Guardia Costiera e passeremmo l'autorità alle Nazioni Unite, Roughead è immediatamente liquidatorio: “Non è per niente così”.

Man mano che il mondo si scalda, i militari statunitensi verranno inevitabilmente evocati per condurre più missioni per catastrofi e per aiuto umanitario. I militari statunitensi, naturalmente, non sono un'operazione di salvataggio dell'orso polare. “I militari hanno molti ruoli importanti, dice Sharon Burke, una ex assistente della segreteria alla difesa. “Ma il lavoro principale è quello di combattere guerre. Questo significa distruggere cose e uccidere persone”. Ma i militari sono anche fieri della loro mentalità pratica, sia in tempo di guerra sia in tempo di pace. I capi militari hanno abbracciato l'abolizione della segregazione razziale molto prima del resto della nazione, in parte perché volevano le persone migliori che potevano trovare, a prescindere dal colore. “E' il nostro lavoro avere a che fare col mondo com'è, non come vogliamo che sia”, dice Robert Freeman, un meteorologo e membro della task force sul cambiamento climatico della Marina.

L'Ammiraglio Samuel Locklear III, responsabile della forze armate statunitensi nel Pacifico, è uno degli uomini più rispettati fra i militari statunitensi – e quello col lavoro più difficile, con la Cina e la Corea del Nord da controllare. “L'agitazione politica e sociale che è probabile che vedremo a causa del nostro pianeta in rapido riscaldamento” ha detto Locklear al Boston Globe nel 2013, “probabilmente è la cosa più probabile che... paralizzerà l'ambiente della sicurezza, forse più probabile degli altri scenari a cui spesso pensiamo”.

Poco dopo, Locklear è stato convocato dalla Commissione per i Servizi Armati del Senato, dove Inhofe gli ha chiesto di “chiarire” le sue osservazioni. E lui lo ha fatto, con calma e forza, insegnando ai senatori come le popolazioni costantemente in crescita dell'Asia metterebbero solo più persone a rischio di tempeste ed altri disastri collegati al clima. “OK, la interromperò qui”, ha detto Inhofe, rendendosi conto che stava perdendo la battaglia. Ed ha rapidamente cambiato discorso.



Il senatore James Inhofe in convenevoli con l'Ammiraglio Samuel Locklear III. J. Scott Applewhite/AP Images

Ciò che Locklear prevede correttamente è che un mondo di caos generato dal clima è già qui e peggiorerà soltanto. E dobbiamo cominciare a parlarne adesso, perché non solo le minacce si moltiplicheranno, ma lo faranno anche le questioni che dovremo affrontare. Una cosa è pianificare l'invasione della spiaggia della Normandia o l'assedio di Falluja, tutt'altra cosa è pianificare di essere la squadra di salvataggio dell'intero pianeta. Abbiamo già speso più di un trilione di dollari in Iraq e Afghanistan senza nessun successo misurabile. Quanto possiamo ancora permetterci di fare? “Penso che dobbiamo fare delle scelte strategiche”, dice Roughead. “Di quali parti del mondo ci importa di più? Quali sono i punti critici strategici? Vogliamo essere in grado di operare nell'Artico o no? Per quale tipo di mondo ci stiamo preparando?” Alcuni analisti di intelligence sostengono che la superiorità militare statunitense sarà il vantaggio meno significativo in futuro perché nessuno ci attaccherà con massicce forze convenzionali. Piuttosto, verremo tirati sempre più dentro a piccoli conflitti alimentati del terrorismo, dagli stati falliti e dai disastri naturali.

“Quando gli oceani salgono, l'instabilità fluisce”, dice il Segretario della Marina Ray Mabus. Ashton Carter, la scelta di Obama come Segretario alla Difesa, non è conosciuto dagli insider del Pentagono per il suo focus sulle minacce del cambiamento climatico. E le possibilità di qualsiasi azione significativa al Congresso prima del 2016 sono pari a zero. Ma il caos aumenta, è inevitabile che chiederemo ai nostri militari di fare di più. Ad un certo punto, il negazionismo climatico si trasformerà in panico climatico e la richiesta di legge, ordine e stabilità prevarrà (così come prevarranno le richieste di soluzioni tecnologiche rapide e pericolose come la geoingegneria per raffreddare il pianeta e fermare l'aumento del livello dei mari). Come ha sottolineato un analista militare, i militari statunitensi sono la sola forza sul pianeta con capacità di fare da poliziotti, trattare, alloggiare, nutrire e spostare i rifugiati in massa. Ma si può capire quanto questo quadro possa farsi oscuro in fretta – una delle minacce a lungo termine più grandi che pone il cambiamento climatico potrebbe essere alle libertà civili e alla libertà in generale. “Non è questione di cosa i militari possano fare per il cambiamento climatico”, dice un ex funzionario del Pentagono. “E' cosa farà il cambiamento climatico ai militari ed alle loro missioni”. E' un'idea spaventosa, ma è lì che siamo diretti. Alla fine, non importa quante road map di adattamento climatico il Pentagono presenti. Ora siamo impegnati in un futuro di disordine e conflitto – un futuro in cui le emergenze di oggi interromperanno sempre i piani per domani.

Un membro della Casa Bianca ricorda di essere entrato nell'ufficio di un generale dell'esercito non molto tempo fa. “Vorrei parlarle del cambiamento climatico” gli ha detto. Il generale non si è nemmeno disturbato a guardarlo. “Vorrei”, ha detto. “Ma devo scrivere una lettera ad una famiglia alla quale è morto un figlio”.