lunedì 9 marzo 2015

Aporia

DaThe Great Change”. Traduzione di MR

 "Strategicamente, tutto si riduce a giocare la carta della paura o quella della speranza, anche se non si escludono l'una con l'altra".

Di Albert Bates


Ultimamente abbiamo ponderato strategie attraverso le quali le persone consapevoli si sono approcciate alla minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico. Ha poco senso sprecare tempo in strategie che sono destinate a fallire, quindi periodicamente dobbiamo chiederci se il tempo dedicato alla rabbia, a reinventarci e a re-inquadrarci sia ben speso. In numerosi anni nel passato abbiamo adottato un approccio “tutto quello di cui” al consiglio di mitigare il cambiamento climatico, concedendo ugual peso ai processi esasperanti dei negoziati e agli arresti di massa. Da un lato ci impegniamo nella ritualità complessa degli incontri lunghi settimane delle Nazioni Unite cercando di metterci d'accordo su codici di condotta vincolanti. Dall'altro ci rallegriamo alle dimostrazioni di piazza ed ascoltiamo discorsi di incoraggiamento delle celebrità che ci dicono che dobbiamo modificare i nostri stili di vita, diventare verdi, conservare.



Per molti anni siamo stati tentati dalla prospettiva allettante degli ecovillaggi, con iterazioni progressivamente più soddisfacenti, mentre adesso molti degli esperimenti del mondo reale sono in grado di fornire decenni di dati preziosi sulle pratiche migliori. Ogni decennio il numero di conferenze su energia alternativa, gestione olistica e recupero ecologico sembrano fare un salto di un'ordine di grandezza. Allo stesso tempo, siamo di fronte all'inesorabile avanzata del lato oscuro, evidenziata da quel crescente corpus scientifico sui rilasci di metano artico e sulle possibilità di un'estinzione umana a breve termine; gli assunti macroeconomici inclinano il piano di gioco verso il ritardo e gli impedimenti neurobiologici come il pregiudizio di conferma, la deriva etica, la psicologia della perdita di investimento e la riduzione del tasso di sconto. Piuttosto che esporli tutti, semplifichiamo e diciamo, strategicamente, tutto si riduce a giocare la carta della paura o quella della speranza, anche se non si escludono l'una con l'altra e non sono nemmeno opposte.

A volte ci chiediamo  se, sostenendo una rapida guarigione del clima usando reagrarianesimo e permacultura, biochar ed agro-silvicoltura non stiamo distribuendo oppio. Stiamo vendendo indulgenze? Tutto quello che dovete fare a premere un interruttore et voilà! La civiltà viene trasformata per soddisfare i nostri bisogni di cibo (comprese mucche  allevate al pascolo), energia pulita, un riparo incantevole e i giusti mezzi di sussistenza mentre sequestriamo gigatonnellate di gas serra riportandole alla Terra per i tempi supplementari di un comodo Olocene. Eppure sappiamo che non è  così semplice. Tutto il biochar del mondo non ci salverà dalla funzione esponenziale applicata al principio del piacere e della fecondità umana. Fukushima e tutte le testate ammucchiate possedute da Israele e Nord Corea non scompariranno semplicemente anche se l'UNFCCC a Parigi si accordasse per tenere il carbone dei fratelli Koch nel sottosuolo sotto la pena dell'estradizione all'Aja e l'internamento a Spandau. Gli esseri umani hanno ancora molto a cui rispondere se avremo un speranza realistica di evitare la mannaia di Madre Natura.

Nel Lachete, Platone ha ricostruito un dialogo che Socrate ha fatto con due rispettati generali. A questi generali, Lachete e Nicia, era stato chiesto da alcuni distinti cittadini di Atene, Lisimaco e Melesia, se ai giovani si dovesse insegnare a scuola il combattimento con la corazza. Uno diceva di sì e l'altro diceva di non dargli alcun valore. Era lo stesso tipo di discussione che i genitori potrebbero fare oggi sul fatto che ai bambini si debba permettere di giocare o meno coi giocattoli da guerra.

Socrate disse a questi distinti militari che prima voleva informarsi, visto che erano entrambi esperti nell'arte del combattimento con la corazza, chi di loro era un esperto nell'animo dei giovani, dal momento che era quello il prodotto finale che cercavano. Chiede ad uno di loro di definire una particolare virtù del campo di battaglia, il coraggio. Il generale definisce un uomo di coraggio come uno che non scappa di fronte al nemico. Socrate spiega che questa definizione non copre tutti i casi di coraggio, così il generale definisce il coraggio come “una resistenza dell'anima”. Socrate continua ad incalzarlo. Il generale restringe la sua definizione ad una “saggia resistenza dell'anima”. Socrate deride la sua definizione mostrandogli che il coraggio in realtà più vicino ad una sciocca resistenza dell'anima. A questo punto, l'altro generale tenta di definire il coraggio: Definisce il coraggio come un tipo di saggezza o come “conoscenza dei motivi della paura e della speranza”.

Socrate: Noi consideriamo temibili le cose che procurano timore e rassicuranti quelle che non lo procurano e procurano timore non i mali passati né quelli presenti, ma quelli attesi, perché il timore è attesa di un male futuro. Non pare così anche a te, Lachete?

Lachete: Proprio così, Socrate.

Socrate: Tu senti, Nicia, la nostra affermazione che chiamiamo temibili i mali futuri e rassicuranti le cose che non saranno mali o saranno beni. Su questo, dici così o altrimenti?

Nicia: Così.

Socrate: E la scienza di queste cose la chiami coraggio?

Nicia: Esattamente.

Socrate: Esaminiamo ancora un terzo punto, se tu e noi lo condividiamo.

Nicia: Quale?

Socrate: Te lo dirò. A me e a Lachete pare che per le cose su cui c’è scienza, non ci sia una scienza del passato per sapere come è avvenuto, un’altra del presente come avviene e un’altra su come può avvenire nel modo migliore e avverrà ciò che non è ancora avvenuto, ma ci sia la stessa scienza. Per esempio, a proposito della sanità, per tutti i tempi non c’è che la medicina, che è unica e osserva ciò che avviene, ciò che è avvenuto e ciò che avverrà come avverrà. E a proposito dei prodotti della terra, identica è la posizione dell’agricoltura. E per le cose della guerra, voi stessi potete testimoniare che la strategia provvede a tutto nel modo migliore e soprattutto a ciò che avverrà e crede che occorra non asservirsi alla divinazione, ma dominarla, in quanto conosce meglio gli eventi della guerra presenti e futuri: e così prescrive la legge, che l’indovino non comandi lo stratega, ma lo stratega l’indovino. Diremo questo, Lachete?

Lachete: Lo diremo.

Socrate: E tu, Nicia, affermi con noi che, a proposito delle stesse cose, la medesima scienza è competente delle future, presenti e passate?

Nicia: Sì, a me pare così, Socrate.

***

Socrate: Il coraggio, dunque, non è solo scienza delle cose temibili e di quelle rassicuranti, perché è competente non solo sui beni e sui mali futuri, ma anche su quelli presenti, passati e di ogni tempo, come le altre scienze.

Nicia: Sembra.

Socrate: Allora, Nicia, tu ci hai detto che cosa è un terzo, circa, del coraggio; ma noi ti chiedevamo che cosa fosse il coraggio intero. Ora, a quanto sembra, stando al tuo discorso, il coraggio non solo è scienza delle cose temibili e di quelle rassicuranti, ma pressappoco è la scienza di tutti i beni e di tutti i mali di ogni tempo (tale è ora la tua definizione). Dichiari di mutare così la definizione o come, Nicia?

Nicia: A me pare così, Socrate.

Socrate: E ti pare, divino amico, che un uomo mancherebbe di una parte della virtù, se conoscesse tutti i beni in ogni tempo, come avvengono, avverranno e sono avvenuti e allo stesso modo i mali? Credi che costui mancherebbe di temperanza, giustizia o santità, egli a cui solo spetta, riguardo agli Dei e agli uomini, guardarsi dalle cose temibili e da quelle che non lo sono e procurarsi i beni, sapendo comportarsi correttamente con essi?

Nicia: Mi pare che tu abbia ragione, Socrate.

Socrate: Allora, Nicia, non è una parte della virtù ciò che ora hai detto, ma la virtù intera.

Nicia: Sembra.

Socrate: Eppure dicevamo che il coraggio è solo una delle parti della virtù.

Nicia: Lo dicevamo.

Socrate: Ma ciò che ora si è detto non sembra tale.

Nicia: Non sembra.

Socrate: Dunque, Nicia, non abbiamo trovato che cos’è il coraggio.

Nicia: Pare di no.

— Platone , Discutere di coraggio con i generali

Come possiamo vedere da questi passaggi, la questione è stata se il coraggio fosse qualcosa da coltivare e, ipotizzando che lo fosse, se si dovessero separare paura e speranza per il futuro dalla paura e speranza provenienti dal passato e dal presente. Socrate ha detto che non c'è separazione. Noi ce lo chiediamo. Possiamo fare poco riguardo al presente e niente riguardo al passato, quindi la paura e la speranza a loro legate è inutile. La paura e la speranza per il futuro sono di una qualità diversa. Più che modi di vedere, sono modi per motivare ad agire. Socrate e i generali li mettono sullo stesso piano.

La cerimonia dell'innocenza è annegata.
I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
Sono pieni di intensità appassionata.

La seconda venuta W. B. Yeats

La domanda che sembrava sul punto di fare Socrate, ma che non ha fatto, era cosa pensare di una persona “che sapesse tutte le cose buone e tutto della loro produzione nel presente, nel futuro e nel passato e allo stesso modo sapesse tutto delle cose cattive” ma non usa il proprio dono per prendere la dovuta precauzione o procurare le cose buone. Possiamo fare congetture sul fatto che Socrate e gli altri che una persona del genere non avrebbe avuto coraggio, anche se non fosse necessariamente privo di altre virtù, e forse che avrebbe risolto l'impasse filosofico nel discorso.

Tornando alla nostra domanda, potremmo riformulare questo per chiedere: è più probabile pieghiamo l'arco della civiltà verso la sostenibilità instillando paura delle conseguenze di rimanere sulla nostra attuale traiettoria man mano che procede dal passato conosciuto o offrendo una visione di un percorso in avanti (una storia credibile a prescindere dal tempo che le possibilità contro di essa impiegheranno per diventare realtà)? Platone finisce la sua narrazione senza risolvere il problema filosofico. Nella filosofia Greca, questa sarebbe stata chiamata aporia, una fine neutrale. Ne veniamo fuori in modo analogo col nostro approccio, che potrebbe essere descritto meglio come il bastone e la carota. Entrambi sembrano motivare allo stesso modo. E' solo un po' triste che, collettivamente, sembra che abbiamo bisogno di una randellata col bastone prima di avventurarci a sgranocchiare la carota.