domenica 19 ottobre 2014

Crescita demografica, povertà e violenza: un commento.

di Jacopo Simonetta

Molti di noi ricorderanno che negli anni ’70 raggiungemmo i 4 miliardi di “bocche da sfamare”, come si diceva allora,  con un tasso di incremento di circa 70 milioni l’anno.    La sovrappopolazione era l’argomento del giorno; perfino nelle scuole se ne parlava come di una minaccia alla sopravvivenza stessa dell’umanità.    Alcuni paesi vararono anche programmi più o meno efficaci per limitare le nascite:  dalla semplice propaganda (come ad es. in Afghanistan), fino alla legge del figlio unico in Cina e le sterilizzazioni obbligatorie che costarono la vita a Sanjay Gandhi.

Poi, gradualmente ed impercettibilmente, il tema è passato nel dimenticatoio, mentre la “teoria della transizione demografica” veniva trasformata da ipotesi scientifica in articolo di fede e, infine, in comodo pretesto per evitare l’argomento; una tendenza proseguita finché dall'oblio siamo passati all'estremo opposto.  

Oggi siamo poco meno del doppio di allora (7,266 miliardi con analogo incremento di circa 70 milioni l’anno), ma da almeno un decennio siamo oggetto di  una campagna perlopiù indiretta, ma martellante a favore di un rilancio della natalità e/o  dell’immigrazione, invocate quale rimedio sovrano per una varietà stravagante di malattie reali e presunte delle nostre società: dalla crisi economica al debito pubblico, con coloriture diverse a seconda della fonte.   Di fatto, se oggi si chiede alla gente per strada quale sia il problema demografico, moltissimi rispondono convinti “che non nascono più bambini!” o “l’invecchiamento della popolazione”.

Solo molto di recente l’argomento sta tornando alla ribalta, ma in ambienti di nicchia e sfidando non pochi fulmini.   Per contribuire in qualche modo a rilanciare questo interessante dibattito, vorrei qui proporre un semplicissimo esercizio che ho personalmente fatto.    Avverto subito che i risultati possono essere inaffidabili se riferiti ai singoli paesi, ognuno dei quali ha una situazione peculiare.   Il mio scopo qui è solamente quello di verificare, a livello globale,  se è possibile che vi sia una correlazione fra natalità, povertà e criminalità.
I parametri che ho utilizzato sono i seguenti:

Povertà.   Ho selezionato i 60 paesi con il PIL pro-capite più basso (dati ONU relativi al 2012). I  limiti di questo parametro economico sono noti ed importanti, ma è l’unico disponibile.

Natalità.  Ho selezionato i 60 paesi con il più alto tasso di natalità  (stima ONU 2010).   Il tasso di crescita demografica può essere anche molto diverso a causa dei movimenti migratori e del diverso tasso di mortalità..

Criminalità.   Ho selezionato i 60 paesi con il più elevato tasso di violenza, valutato con il numero di omicidi per 100.000 abitanti (Dati Geneva declaration on armed violence and development 2011).   Il dato considera solo i morti da criminalità comune, non quelli per cause belliche.   In alcune volte la distinzione è praticamente impossibile, ma anche in questo caso il mio interesse è sulle tendenze generali, non sui casi particolari.






Disegnando i tre insiemi così costituiti risulta evidente che la stragrande maggioranza dei paesi ad elevata natalità sono anche particolarmente poveri ed afflitti da una criminalità particolarmente aggressiva.    Ben 45 stati su 60 ricadono infatti in tutti e tre gli insiemi contemporaneamente.   10 sono particolarmente prolifici e poveri, ma non turbolenti.   8 sono invece turbolenti, ma non particolarmente poveri e prolifici, solo 4 sono poveri e turbolenti, ma non prolifici; 4 sono molto poveri, ma non particolarmente turbolenti e prolifici; 3 sono invece prolifici e turbolenti, ma non poveri  ed, infine, 3 sono molto prolifici, ma né poveri né violenti.

Se riportiamo tutto ciò in una tabella, si evidenzia una gaussiana tipica.   Non sorprende, ma la ripidità della gaussiana suggerisce un grado di correlazione molto stretto fra tutti e tre questi fattori.


Si dovrebbe allora cercare di capire quali sono le relazioni tra di essi.
Tra natalità e violenza la correlazione è sicuramente indiretta, mediata dalla povertà dal momento che gli assassini sono prevalentemente maschi giovani; più raramente padri di famiglia ed eccezionalmente donne, men che meno mamme.    Viceversa, che la povertà sia una concausa importante della criminalità credo che si possa dare per assodato, anche se certamente vi giocano anche altri fattori sociali e culturali.

Dunque la chiave del sistema dovrebbe essere il rapporto fra natalità e povertà, indagare il quale è molto complesso sia per l’ingombrante presenza di teorie probabilmente superate (ma profondamente radicate e politicamente molto comode), sia perché non è affatto detto che tutte le società si comportino allo stesso modo.

Nelle sue linee generali, la “teoria della transizione demografica” fu concepita da  Adolphe Landry,  un economista corso legato agli ideali socialisti e “natalista” convinto.    Negli anni ’60 e ’70 l’effettiva evoluzione demografica dell’”emisfero occidentale” parve confermarne sperimentalmente la validità.   Da allora è divenuta e permane un elemento basilare per la cultura amministrativa ed per buona parte di quella accademica mondiale.   Uno di quei capisaldi che solo mettere in dubbio provoca reazioni variabili dal sorrisetto condiscendente all’ira funesta.

Eppure, se ad esempio, osserviamo quello che è avvenuto in Russia, troviamo una dinamica più complessa.

Fra il 1950 ed il 1970 circa, la natalità è rapidamente diminuita, in linea con quanto contemporaneamente accadeva al di qua dalla cortina di ferro.    Poi è tornata a crescere parallelamente ad un incremento della mortalità, indice di un progressivo peggioramento delle condizioni di vita.

Fin qui dunque la teoria di Landry risulta confermata.   Ma a cavallo del 1990 il collasso dell’economia ha prodotto sia un brusco aumento della mortalità, sia un precipizio della natalità che è poi tornata a crescere, mentre la mortalità diminuiva, man mano che la situazione socio-economica ritrovava un nuovo equilibrio e le condizioni di vita medie tornavano a migliorare.   Una dinamica simile è stata rilevata in tutti i paesi del blocco sovietico e qualcosa di simile, anche se meno traumatico, sta succedendo  in occidente.  Ad esempio, in Italia la natalità ha toccato un minimo alla metà degli anni '90, per poi risalire lievemente, in parte per la crescente presenza di immigrati (più prolifici), in parte in risposta alla citata campagna di propaganda,  Dal 2008, con la progressiva erosione degli standard medi di vita, la natalità avrebbe dovuto teoricamente aumentare, mentre è tornata flettere.

Figli per donna in Italia fra il 1945 ed il 2012.
Se passiamo ad osservare la più semplice dinamica delle popolazioni animali, troviamo che è sostanzialmente quella modellizzata da Lotka e Volterra.   In presenza di abbondanza di risorse la popolazione aumenta; aumentando erode le proprie risorse e degrada il proprio ambiente finché non si genera una situazione di penuria.   A questo punto la popolazione in questione si riduce, permettendo un recupero delle risorse e dell’habitat.    Certamente la demografia umana è più complessa sia per fattori culturali, sia per la possibilità odierna di spostare immani quantità di risorse da una parte all'altra del pianeta, ma le dinamiche storicamente riscontrate sono strutturalmente simili a quelle degli altri animali.

In sintesi dunque, la teoria della transizione demografica descrive bene alcuni fenomeni effettivamente accaduti, ma non altri.   L'idea che suggerisco è che il discrimine fra dinamiche simili a quella descritta da Landry ad alte più vicine al modello di Lotka-Volterra sia la prossimità od il superamento del limite di capacità di carico del territorio di riferimento.

Tornando alla nostra gaussiana, quello che qui suggerisco, senza alcuna pretesa di averlo dimostrato, è che, in prossimità od oltre la capacità di carico del territorio, l’elevata natalità  divenga la causa principale di povertà e, indirettamente, di criminalità.   In prospettiva, contribuisce quindi alla disintegrazione delle strutture sociali ed al collasso degli stati.
Un argomento complesso e criticabile sotto molti aspetti che, a mio avviso, richiederebbe una molto maggiore attenzione da parte di quelle istituzioni che hanno il personale, le informazioni ed i mezzi per affrontarli in modo approfondito.   Ma è improbabile che accada poiché "E' difficile far capire qualcosa ad un uomo il cui stipendio dipende dal fatto che non la capisca" (Upton Sinclair, "La storia segreta della guerra al cancro", 2007).