mercoledì 6 marzo 2013

Perché l'Italia?


Di Ugo Bardi
Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Un ritratto del mio trisnonno Ferdinando Bardi (1822-?). Ha combattuto con Garibaldi nella guerra per l'unificazione italiana del 1860 ed è stato premiato con le medaglie che vedete in questo dipinto. Spero solo che il mio antenato non abbia ammazzato troppa gente per meritarsi quelle medaglie ma, a parte questo, mi sono chiesto cosa lo abbia spinto a combattere in quella guerra. E' stato forse perché era pagato? Perché era in cerca di avventura? O è stato, davvero, nel nome “dell'Italia”? E, in quel caso, cosa avrebbe pensato se avesse immaginato l'attuale situazione italiana?



In questo post, rivisito rapidamente la storia dell'unificazione italiana sulla base del concetto che tutto ciò che esiste ha una ragione di esistere e che, quindi, alcuni degli eventi politici recenti in Italia, dalla tenuta di Berlusconi all'ascesa del movimento “5 stelle” abbiano le proprie radici nella storia antica. Mi scuso per la brevità di questo testo su un tema che richiederebbe un'analisi molto più approfondita. Ma spero che possa essere preso almeno come punto di partenza per apprendere di più su questa materia.


1. Perché L'Italia?

A scuola, agli italiani viene raccontata la versione standard degli eventi che hanno portato l'Italia a diventare uno stato unificato nel 1861. Questa versione dice che gli italiani hanno combattuto duramente e con passione per l'ideale di un paese unito. Dopo alcuni tentativi falliti, alla fine, un migliaio di volontari coraggiosi hanno seguito il generale Garibaldi nella lotta contro l'arretrato e dittatoriale Regno di Napoli. Con l'aiuto di molti patrioti napoletani, l'esercito di Garibaldi ha trionfato e questo ha portato all'unificazione dell'Italia in un unico stato governato dal saggio Re del Piemonte. Poco dopo, l'esercito italiano ha trionfato anche contro gruppi di banditi che hanno provato senza successo a resistere al processo di unificazione nel Sud Italia.

Tuttavia, esiste una versione diversa degli stessi eventi che sembra stia diventando più popolare in Italia in tempi recenti (chiamiamola la versione “revisionista”). Questa dice che il prosperoso e civilizzato Regno di Napoli è stato pugnalato alla schiena da una banda di mercenari guidati da un avventuriero di nome Giuseppe Garibaldi e pagati con l'oro del re del Piemonte. Con l'astuzia e il tradimento, Garibaldi è riuscito a sopraffare la resistenza disperata dell'esercito napoletano e a spodestare il Re di Napoli dal suo legittimo trono. In seguito, molti coraggiosi combattenti per la libertà napoletani hanno cercato di ristabilire il loro legittimo re, ma sono stati sterminati senza pietà dalle truppe piemontesi.

Queste, naturalmente, sono delle descrizioni estreme di un dibattito in corso sull'unificazione dell'Italia. Ma queste visioni illustrano almeno una delle molte caratteristiche affascinanti della storia: quanto facilmente proiettiamo i nostri sentimenti moderni sulle persone e gli eventi del passato. Qui, le versioni sia ufficiale sia revisionista, vedono l'unificazione dell'Italia alla luce di sentimenti che erano probabilmente lontani dal pensiero di quelli che hanno realmente vissuto l'evento. Ma i limiti di entrambe le visioni non è tanto nel forzare quegli antichi eventi in schemi moderni, ma nella loro tendenza a vedere la storia in una prospettiva puramente italiana.

La percezione della storia, più che storia in sé, forma i pensieri e le azioni. Così, se vogliamo capire gli eventi italiani, come l'ascesa e la persistenza del Sig. Berlusconi come primo ministro e leader, dovremmo provare a capire cosa ha portato l'Italia a diventare ciò che è oggi: uno stato unificato. E' stata, per molti aspetti, una conseguenza inevitabile delle tendenze del tempo, ma non esattamente per le ragioni che ci raccontano a scuola, né per quelle che a volte possiamo leggere in termini di versione revisionista. La politica internazionale ha giocato un ruolo fondamentale nell'unificazione, come la ricerca moderna sta iniziando a mostrare (1).


2. L'onda nera del carbone

A partire dal 17° secolo, l'Europa ha iniziato ad essere travolta da un'onda nera. Era un'onda di carbone, una fonte di energia economica e abbondante mai vista prima nella storia. Col carbone, è arrivata la rivoluzione industriale e con essa la crescita economica e il potere militare. Ma l'onda nera non è arrivata dappertutto allo stesso momento. A causa di eventi geologici remoti, il carbone si trovava principalmente nel Nord Europa. Quindi la rivoluzione industriale è iniziata nel sud della Gran Bretagna e nel nord della Francia.

Avere miniere di carbone non era strettamente necessario ad una regione per industrializzarsi: la fonte nera di energia poteva sempre essere importata. Il carbone era caro da trasportare via terra, ma poteva essere trasportato facilmente sull'acqua. Così, il bisogno di trasportare carbone era una delle ragioni principali che hanno portato allo sviluppo della rete europea di canali navigabili che hanno cominciato ad essere comuni nel 19° secolo. Ma nelle zone calde e aride, c'erano grossi problemi per costruire vie d'acqua navigabili. Niente canali significava niente carbone e niente carbone significava niente rivoluzione industriale. E questo, a sua volta, significava essere lasciati indietro nel fenomenale sviluppo economico creato dalla disponibilità di carbone. Delle regioni mediterranee, solo il nord Italia e la Catalogna hanno potuto costruire dei canali navigabili. Il resto è stato escluso dalla rivoluzione industriale.

Questo squilibrio di potere economico è stato il fattore chiave che ha generato l'unificazione italiana. Il Regno del Piemonte (ufficialmente il “Regno di Sardegna”) nell'Italia nord occidentale, aveva accesso a una rete di canali e, nel 19° secolo, è diventato una potenza militare ed industriale nella penisola italiana, mentre gran parte degli altri stati, specialmente al sud, erano rimasti economie agricole. Questo squilibrio di potere non era in sé sufficiente a creare l'unificazione italiana, ma una serie di circostanze esterne lo ha reso possibile e forse inevitabile.


3. Geopolitica mediterranea nel 19° secolo.

Prima della rivoluzione industriale, il Mar Mediterraneo era stato in gran parte un lago turco e, in parte minore, un entroterra dell'Impero Spagnolo. Ma Turchia e Spagna non potevano agganciarsi alla rivoluzione industriale: non avevano né sufficiente carbone né canali navigabili. Col 19° secolo, l'ascesa delle potenze industriali europee ha creato un vuoto di potere in rapido sviluppo nell'area mediterranea. Gran Bretagna, Francia, Austria e Russia guardavano a sud con l'idea di incorporarsi un pezzo dell'Impero Turco in declino (formalmente, “Impero Ottomano”).

Napoleone dette inizio ai fuochi d'artificio con l'invasione dell'Egitto nel 1798. Quel tentativo fallì, ma era soltanto un rimandare i piani francesi. Nel 1830, la Francia invadeva l'Algeria. Gli algerini opponevano una strenua resistenza ma, senza aiuto dall'Impero Ottomano in disfacimento, non potevano che essere sopraffatti dalla superiore potenza di fuoco e dal numero degli invasori. Stavolta era chiaro che la Francia era in Nord Africa per restarci.

La caduta dell'Algeria cambiava alla base i giochi di potere nel Mediterraneo. Ora, cosa avrebbe impedito ai francesi di prendersi per sé un piccolo impero mediterraneo? Avrebbe potuto includere il Nord Africa dal Marocco all'Egitto e, perché no, anche il regno di Napoli, un'altra regione non industrializzata che avrebbe potuto opporre ben poca resistenza. Nessuna delle altre potenze mondiali era nella posizione di fermare la Francia; o perlomeno non facilmente. La Russia era troppo lontana, l'Austria era imbottigliata nell'Adriatico del nord e i britannici erano pesantemente impegnati in Medio oriente.

Non c'è voluto molto sforzo ai diplomatici britannici per vedere che c'era una soluzione per fermare l'espansione francese che non richiedeva un intervento militare diretto. Ciò che serviva era una forte Italia unificata. Come stato, l'Italia sarebbe rimasta troppo debole per sfidare le potenze mondiali, ma sarebbe stata abbastanza forte da impedire un'invasione francese e per resistere ai tentativi francesi di dominare ciò che i governi italiani avrebbero visto come la sfera di influenza del paese in Nord Africa. Così, l'interesse britannico all'unificazione italiana è diventato una forza motrice nella politica italiana.

Questo non è stato il solo fattore in gioco a metà del 19° secolo nei giochi di potere del Mediterraneo. I piani britannici erano perfettamente coerenti con quelli del Piemonte, che puntava ad espellere l'Austria dal Nord Italia e di espandersi al sud nella penisola. Anche fuori dal Piemonte, gli italiani ricordavano molto bene i tempi, un paio di secoli prima, quando il territorio italiano era stato poco più di un campo di battaglia per potenze straniere che combattevano per la supremazia. Molti in Italia capivano che solo uno stato italiano unificato poteva mettere insieme sufficiente forza militare per mantenere l'Italia indipendente dal dominio straniero.

E c'erano anche ragioni economiche. Gli italiani potevano capire senza problemi che che solo un paese unificato poteva sbarazzarsi di arcaici confini e pedaggi, costruire una infrastruttura di trasporto snella e creare una singola valuta per facilitare il commercio. Anche qui, uno stato unificato era generalmente visto come l'unico modo per l'Italia di combattere la minaccia della dominazione straniera.


4. L'unificazione dell'Italia

Gli interessi convergenti di Gran Bretagna, Piemonte e di diversi movimenti di idee in Italia hanno portato all'unificazione dell'Italia nel 1861. E' stato il risultato di una serie di campagne militari di successo ed del trionfo delle diplomazie coordinate di Piemonte e Gran Bretagna. Delle potenze mondiali che potevano opporsi all'unificazione, l'Austria è stata sconfitta e la Francia era placata con un po' di terra (Savoia e Nizza) che valeva molto meno dei guadagni ottenuti dal Piemonte. Gli altri stati italiani non sono riusciti ad opporre una resistenza significativa; sono stati pacificamente integrati nel nuovo stato o sono stati spazzati via. Questo è stato il destino del “Regno delle due Sicilie” (conosciuto anche come “Regno di Napoli”). Non era né la dittatura arretrata né la terra prospera e civilizzata descritte oggi dalle diverse visioni della storia. Semplicemente, non si era industrializzato ed era economicamente troppo debole per sopravvivere da solo.

Per alcuni anni, dopo l'unificazione, è rimasta una resistenza ostinata nelle regioni interne di quello che era stato il Regno di Napoli, ma è stata repressa senza pietà. Poi, lo stato italiano da poco creato è risultato sorprendentemente resiliente. Naturalmente, l'Italia non è mai stata sufficientemente potente da competere con le grandi potenze, ma ha giocato il ruolo che ci si aspettava nel Mar Mediterraneo. L'Italia ha fermato i tentativi francesi di espansione in Tunisia e, nel 1911, l'Italia si è presa un pezzo di terra in Nord Africa sconfiggendo l'Impero Ottomano e annettendosi la regione che oggi chiamiamo Libia. Questo ha creato uno stato cuscinetto fra le sfere di influenza della Francia e della Gran Bretagna in Nord Africa.

Per lungo tempo, l'alleanza fra Gran Bretagna e Italia è rimasta forte, Così tanto che veniva chiamata dagli italiani “Bella Fratellanza”. L'Italia è rimasta una buona cliente del carbone britannico e meta preferita per i turisti britannici e per gli espatriati. Ma le cose sarebbero cambiate con la fine della Grande Guerra.


5. Il declino del carbone (e dell'Italia)

Finché l'Italia poteva importare carbone dall'Inghilterra, la sua economia ha prosperato e l'alleanza con la Gran Bretagna è rimasta forte. Ma con la fine della Prima Guerra Mondiale, le miniere in Inghilterra hanno iniziato ad avere problemi ad aumentare la produzione e persino a mantenerla ai vecchi livelli. La Gran Bretagna stava attraversando il proprio ”picco del carbone”. In Italia questo evento è stato percepito come un tradimento e gli italiani proprio non potevano capire perché la Gran Bretagna non volesse dar loro il carbone di cui avevano bisogno. Il risultato è stata una sfiducia generalizzata che è stata trasformata in odio contro la “Perfida Albione”, come la stampa italiana ha cominciato a chiamare la Gran Bretagna negli anni '30.

Ma gli insulti contro i perfidi inglesi non potevano essere trasformati in carbone. L'Italia stava diventando come una bestia affamata chiusa in gabbia: è impazzita. Secondo il vecchio detto “gli Dei prima fanno impazzire coloro che vogliono distruggere”, negli anni '30, il governo italiano si è comportato come se il suo scopo dichiarato fosse quello di distruggere il paese. Una serie di guerre hanno portato alla bancarotta un'economia già in difficoltà e l'invasione dell'Etiopia nel 1936 è stata una campagna enormemente costosa che ha portato pochi guadagni o nessuno all'Italia, a parte il dubbio onore per il Re d'Italia di ottenere il titolo di “Imperatore d'Etiopia”. Il governo ha completato il lavoro con la Seconda Guerra Mondiale, dove un'Italia impreparata è stata completamente sconfitta e distrutta.

Dopo la fine della guerra, l'Italia è riuscita a ricostruire la propria economia basandosi sul petrolio greggio. Ma la crisi petrolifera che è iniziata negli anni 70 è stata per molti versi la ripetizione della crisi del carbone degli anni 20. Senza petrolio a buon mercato, l'industria italiana non poteva semplicemente sopravvivere e questa, probabilmente, è una delle ragioni della vena di follia che pervade la politica italiana ai giorni nostri. Fortunatamente, stavolta l'Italia non può reagire alla crisi diventando aggressiva, com'è accaduto negli anni 30.


6. Perché l'Italia nel 21° secolo?

La ragione per cui strutture politiche grandi e complesse, come gli stati nazionali, esistono , è perché danno benefici che giustificano i loro costi. Ma tutti i sistemi politici sono soggetti a ciò che Joseph Tainter chiama il “ritorno decrescente della complessità”. Con il declino delle risorse che hanno creato il sistema, la complessità cessa di essere un vantaggio e diventa un fardello. Il risultato normalmente è quella rapida diminuzione di complessità che chiamiamo “collasso”.

L'Italia come stato unificato è un sistema politico complesso che è stato creato a causa di ragioni strategiche ed economiche al tempo della sua creazione. Un governo centralizzato ha prodotto vantaggi in termini di difesa territoriale e di integrazione economica che hanno giustificato il suo costo. Ma le cose sono cambiate profondamente in entrambe le aree.

Per prima cosa, nell'era delle superpotenze l'Italia non può mantenere un potere militare autonomo. Oggi, il sistema militare italiano è completamente incorporato nella NATO. In termini di politica estera, l'Italia è parte dell'Unione Europea e possiamo dire ragionevolmente che l'Italia non ha più una politica estera indipendente.

Poi, con la crescita dell'Unione Europea  la nascita dell'Euro, il governo italiano ha perso la possibilità di una politica monetaria indipendente e con questa la propria capacità di intervenire nell'economia nazionale. Essendo poi parte del WTO (World Trada Organization), il governo italiano ha ulteriori limiti su quanto può fare in termini economici.

Ciò che è rimasto al governo centrale italiano è la capacità di esigere tasse e, infatti, gran parte dell'attuale dibattito politico in Italia è su chi dovrebbe pagare le tasse, quante, e per cosa queste tasse dovrebbero essere usate. Naturalmente, c'è un accordo generale sul fatto che le tasse dovrebbero essere usate per servizi come la polizia, le scuole, le strade, la giustizia, gli ospedali e cose del genere. Ma lo stato italiano è una struttura costosa e sbilanciata. Nonostante il declino del PIL nazionale, le tasse continuano ad aumentare ed oggi gli introiti delle tasse in Italia si mangiano quasi il 45% del PIL (negli Stati Uniti è meno del 30%) ad un costo per i cittadini italiani di circa 500 miliardi di euro (circa 650 milioni di dollari) all'anno. Ciononostante, la qualità dei servizi pubblici è percepita come in declino e agli italiani si chiede sempre più spesso di pagare per servizi che una volta erano gratuiti. A questo punto, è legittimo chiedersi se questi servizi non possano essere forniti a costi inferiori (e possibilmente con migliore qualità) dai governi regionali; senza il fardello di un sistema di stato centralizzato.

Come è normale per tutti i governi, quello italiano non sa come tagliare i costi e riformare sé stesso. Continua a chiedere sempre più soldi ai cittadini mentre sogna mega progetti incredibilmente costosi, come il ponte sullo Stretto di Messina, la TAV Torino-Lione e molti altri. Allo stesso tempo, il governo è stato incapace di impegnarsi anche in semplici gesti come la riduzione dei privilegi dei membri del parlamento. Questo non avrebbe cambiato molto nel bilancio dello stato, ma avrebbe almeno mandato un segnale agli italiani che i sacrifici sarebbero stati condivisi. Non c'è da meravigliarsi che i cittadini italiani siano arrabbiati e confusi e che reagiscano con schemi di voto, alle elezioni nazionali, che sembrano confusi agli stranieri (ed anche agli italiani). Eventi come l'ascesa del Movimento "5 Stelle" di Grillo sono il risultato di questi sentimenti e del bisogno di una redistribuzione dei sacrifici che la difficile situazione economica impone.

Vedremo il collasso dell'Italia come stato centralizzato per dare spazio ai governi regionali? Questo non sembra essere nell'orizzonte politico al momento, ma non può essere nemmeno escluso, come dimostra la diffusione della visione “revisionista” dell'unificazione italiana. Quello che possiamo dire con certezza è che la crisi economica italiana sta diventando più profonda e che ci aspettano grandi cambiamenti.

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1. Le note sul ruolo della Gran Bretagna nell'unificazione italiana sono basate principalmente sul libro di Eugenio di Rienzo “Il Regno delle due Sicilie e le Potenze Europee” -Rubbettino 2012