giovedì 27 dicembre 2012

La nuvola: cosa stiamo facendo alla nostra mente?


Da “Cassandra's Legacy”. Di Ugo Bardi


Il racconto del 1957 di Fred Hoyle “La Nuvola Nera” è piena zeppa di idee ed invenzioni, ancora oggi straordinario da leggere. In particolare, Hoyle è stato profetico col concetto di “nuvola intelligente”, che ricorda il concetto di “Nuvola di Internet” come la intendiamo oggi. Cosa sta facendo la nuvola alla nostra mente?


Sono cresciuto in una remota provincia dell'Impero. Per gran parte della mia vita sono stato affamato di informazione. Le librerie avevano quasi soltanto libri scritti nell'oscuro linguaggio locale e di quello che si diceva nel linguaggio imperiale avevo accesso soltanto alla minuscola parte che veniva tradotta. Ottenere libri dai centri culturali dell'Impero, al di là del mare, era possibile, ma lento, scomodo ed incredibilmente caro. 

Tutto è cambiato quando ho avuto la possibilità di vivere a Berkeley. E' stato come essere in grado di respirare dopo aver rischiato di annegare. Era così diverso: le biblioteche del Laboratorio Lawrence di Berkeley erano aperte tutta la notte proprio per lasciare che noi, i ricercatori, potessimo stare lì quanto ci pareva, setacciando tomi oscuri in cerca della verità. E cos'erano le librerie di Berkeley! Perdinci: libri e libri, molti di più di quanti ne abbia mai visto, e così economici!

La caratteristica migliore di così tanta abbondanza era la serendipità. Conoscete il significato del termine: è l'improvvisa ed inaspettata scoperta, la nuova idea che frantuma e spazza via le vostre vecchie idee. Non puoi raggiungere il favoloso mondo di Serendip ordinando libri per posta, come potevo fare da casa nel mio paese. Ma a Berkeley, con così tanti libri a disposizione, tutti allineati in scaffali e mensole, tutto ciò che dovevi fare era camminare e lasciare che la serendipità ti venisse a cercare. Ne prendevi uno a caso, guardavi la copertina e dicevi, “beh, potrebbe essere interessante”. Lo compravi, forse era un libro usato in vendita a meno di un dollaro. Lo leggevi e la tua vita cambiava. Era in questo modo che ho scoperto il concetto di “picco del petrolio”, nel 2001, in una libreria di Berkeley. Mi ha cambiato la vita. 

E' stato più di dieci anni fa ed è incredibile come siano cambiate le cose in un tempo così breve. Non sono più tornato a Berkeley, di recente, ma sono sicuro che le librerie che ci sono ora siano dei simulacri di quelle che c'erano. La serendipità è emigrata nel Web.

Ora usiamo il termine “navigare” per quel tipo di ricerca della serendipità che facevo nelle librerie. Non sono in grado di quantificare quanto sia enormemente maggiore il numero di informazioni nel Web rispetto a quelle che c'erano nelle vecchie librerie. Di certo è diventato così vasto che comincio ad essere spaventato. Troppe informazioni da assorbire. Questa sensazione mi ha riportato alla mente il racconto di fantascienza che Fred Hoyle ha scritto nel 1957: “La Nuvola Nera”. Devo averlo letto nel 1960, in una traduzione italiana, quando avevo, forse, 14 anni. Potrebbe non essere un gran racconto, ma è stato sicuramente profetico per molti aspetti. Hoyle non poteva realmente immaginare Internet, anche se ci sono accenni di qualcosa di simile nella storia. Ma dove ha fatto centro è stato con il  concetto di “nuvola”. 

La Nuvola Nera di Hoyle non è la stessa nuvola che abbiamo oggi come parte del World Wide Web. E' un essere senziente: benevolo anche se non necessariamente misericordioso, in quanto non si fa scrupolo di bombardare alcune città terrestri con bombe atomiche. Ma il punto focale della storia è l'enorme conoscenza che la Nuvola Nera ha accumulato durante milioni di anni. 

Il momento drammatico arriva quando si scopre che la Nuvola deve lasciare il Sistema Solare in fretta. Deve quindi esserci un modo per trasmettere quella gigantesca massa di conoscenza ai terrestri prima che la Nuvola scompaia per sempre. Due scienziati ci provano, ma muoiono entrambi. Il loro cervelli vengono letteralmente fritti dalla gran quantità di dati. Apparentemente, la nuova conoscenza era in conflitto con quella vecchia. Non potevano cambiare il loro punto di vista abbastanza rapidamente ed il risultato è stato che il loro cervello è andato in corto circuito, auto-distruggendosi. 

A volte mi sento come se stessi provando a fare la stessa cosa degli scienziati del racconto. Cioè cercare di assorbire una quantità enorme di conoscenza dalla nuvola – quella moderna. Non so quale sia l'esperienza del navigatori medio in rete ma, per me, negli ultimi anni è stato un continuo bombardamento di nuove idee che hanno costantemente rimpiazzato le vecchie. E' stato il trionfo della serendipità.

Ma, allo stesso tempo, non è stata una cosa indolore. Le nuove idee sono tutt'altro che rassicuranti. Picco del petrolio, picco del cibo, collasso della società, punto di non ritorno climatico. L'universo si sta rivelando un posto pericoloso e questo pianeta un granello di roccia che stiamo distruggendo perché non siamo nemmeno in grado di capire quello che facciamo. Questo tipo di conoscenza è così sconvolgente che comincio ad aver paura che il mio cervello finisca fritto come quello degli scienziati del racconto di Hoyle. 

Allora, cosa stiamo facendo con questa bestia imponente che abbiamo creato, la gigantesca nuvola chiamata anche “il Web”? Stiamo cambiando noi stessi ed allo stesso tempo cambiamo il mondo. In entrambi i casi, il cambiamento non è necessariamente per il meglio ma, come sempre, ci stiamo lanciando a testa bassa nel futuro senza la minima idea di quello che facciamo e dove stiamo andando. 

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Alcuni collegamenti su come la “nuvola” potrebbe cambiare la nostra mente. La gente si lamenta di avere troppa informazione a disposizione, ma comincia a rendersi conto che c'è un problema. 

Google ci sta rendendo stupidi? (Nicholas Carr) Immergermi in un libro o in un lungo articolo era facile. La mente sarebbe stata presa dalla narrativa o dai cambi di tema e avrei passato ore a passeggiare su lunghi tratti di prosa. Difficilmente mi capita ancora. Ora la mia concentrazione comincia a venire meno dopo due o tre pagine. Divento irrequieto, perdo il filo, comincio a cercare altro da fare. Mi sento come se stessi sempre trascinando indietro il mio cervello ribelle verso il testo. La lettura profonda che veniva naturale è diventata una lotta. 

Internet sta cambiando il modo in cui pensiamo? Sarah Churchwell (come citato). In 10 anni, ho visto cambiare radicalmente le abitudini degli studenti: se l'informazione non è immediatamente disponibile su Google search, gli studenti spesso si bloccano. Ma naturalmente ciò che fornisce Google search non è la risposta migliore, più saggia o più precisa, ma la più popolare. 

Sì, Internet sta cambiando il nostro cervello. (Marc McGuinness) Ogni giorno, se navighi su Internet cliccando sugli hyperlink, aprendo nuovi tab e finestre, sfogliando le e-mail, Twitter, Facebook e qualsiasi cosa fosse che stavi leggendo proprio adesso, i tuoi schemi di pensiero cambiano. Ed i neuro scienziati hanno accumulato solide prove che quando cambiamo il modo di pensare cambiamo il nostro cervello. 

Il tuo cervello online. (Sharon Begley) Internet causa anche la “scomparsa della retrospezione e della reminiscenza” sostiene Evgeny Morozov, un esperto di Internet e politica. “Le nostre vite vengono vissute sempre di più nel presente, completamente separate anche dal passato più recente... La nostra capacità di guardarci indietro e di entrare in contatto col passato ne è una vittima sfortunata”. 








giovedì 20 dicembre 2012

Ci stiamo avvicinando ad un cambiamento di stato della Biosfera terrestre


Grazie all'opera di traduzione di Massimiliano Rupalti, presentiamo qui un articolo monumentale apparso su "Nature" che riassume piuttosto bene la situazione in cui siamo. Richiede un po' di lavoro per essere letto e compreso, ma la conclusione è chiara: non siamo messi bene (U.B.)


Ci stiamo avvicinando ad un cambiamento di stato della Biosfera terrestre

Di Anthony D. Barnosky 1,2,3, Elizabeth A. Hadly 4, Jordi Bascompte 5, Eric L. Berlow 6, James H. Brown 7, Mikael Fortelius 8, Wayne M. Getz 9, JohnHarte 9,10, Alan Hastings 11, Pablo A. Marquet 12,13,14,15, Neo D. Martinez 16, Arne Mooers 17, Peter Roopnarine 18, Geerat Vermeij 19, John W. Williams 20, Rosemary Gillespie 9, Justin Kitzes 9, Charles Marshall 1,2, Nicholas Matzke1, David P. Mindell 21, Eloy Revilla 22 & Adam B. Smith 23

Da “Nature” (pdf qui). Traduzione di Massimiliano Rupalti.


I sistemi ecologici locali sono conosciuti per la loro caratteristica di passare da uno stato all'altro quando vengono spinti oltre le soglie critiche. Qui, noi rivediamo le prove secondo le quali l'ecosistema globale complessivamente può reagire in questo modo, avvicinandosi ad una transizione critica su scala planetaria come risultato dell'influenza umana. La plausibilità di un 'punto di non ritorno' su scala planetaria evidenzia la necessità di migliorare le previsioni biologiche rilevando i primi segni di avvertimento di transizioni critiche su scala globale così come su scala locale e rilevando le retroazioni che promuovono tali transizioni. E' anche necessario affrontare le cause profonde di come gli esseri umani stiano forzando i cambiamenti biologici. 


Gli esseri umani ormai dominano la Terra, cambiandola in modi che minacciano la sua capacità di sostenere noi ed altre specie (1-3). Questa consapevolezza ha portato ad un crescente interesse sulla previsione delle risposte biologiche su tutte le scale, da quella locale a quella globale (4-7). Tuttavia, molte previsioni biologiche dipendono dalla proiezione delle tendenze attuali nel futuro, assumendo diverse pressioni ambientali (5) o sull'uso di modelli di diffusione delle specie per prevedere come i cambiamenti climatici potrebbero alterare le aree geografiche attualmente osservate (8-9). Il presente lavoro riconosce che affidarsi soltanto a tali approcci sarà insufficiente per caratterizzare pienamente la gamma di cambiamenti biologici in futuro, specialmente a causa del fatto che le interazioni complesse, le retroazioni e i loro effetti di difficile prevedibilità non vengono presi in considerazione (6, 8-11). Particolarmente importanti sono le recenti dimostrazioni che le 'transizioni critiche' causate da effetti soglia sono probabili (12), Le transizioni critiche portano a cambiamenti di stato, i quali annullano bruscamente le tendenze e producono cambiamenti biotici imprevisti. Anche se gran parte dei lavori precedenti sui cambiamenti di stato indotti dalla soglia sono stati teorici o interessati alle transizioni critiche in sistemi ecologici circoscritti e su brevi periodi di tempo (12-14), transizioni critiche su scala planetaria che avvengono durante secoli o millenni, sono stati a loro volta postulate (3,12,13,15-18). Qui noi riassumiamo le prove che tali transizioni critiche su scala planetaria sono avvenute precedentemente nella biosfera, sebbene raramente, e che gli esseri umani ora stanno forzando un'altra transizione di questo tipo, col potenziale di trasformare la Terra rapidamente ed irreversibilmente verso uno stato sconosciuto all'esperienza umana. Emergono due conclusioni. Primo, per minimizzare le sorprese biologiche che impatterebbero in modo avverso sull'umanità, è essenziale migliorare la capacità di previsione biologica anticipando le transizioni critiche che possono emergere su scala planetaria e capire come tali forzanti causano cambiamenti locali. Secondo, come concluso anche nel lavoro precedente, per prevenire un passaggio di stato su scala globale, o perlomeno per guidarla nel miglior modo possibile, sarà necessario affrontare le cause profonde dei cambiamenti globali antropogenici e migliorare la gestione della biodiversità e dei servizi ecosistemici (3,15-17,19).

Fondamenti della teoria del passaggio di stato

E' ben documentato, oggi, che i sistemi biologici su molte scale diverse possono passare rapidamente da uno stato esistente ad uno radicalmente diverso (12). Gli 'stati' biologici non sono né fissi né in equilibrio; piuttosto, sono caratterizzati da una gamma definita di deviazioni da una condizione media su un periodo di tempo predeterminato. Il passaggio da uno stato all'altro può essere causato sia da un effetto 'soglia' si da un effetto 'mazza'. Il passaggio di stato che risulta dall'effetto soglia può essere difficile da prevedere, perché la soglia critica viene raggiunta all'accumularsi dei cambiamenti incrementali e il valore di soglia non è normalmente conosciuto in anticipo. Al contrario, un passaggio causato da un effetto mazza – ad esempio spianare una foresta con un bulldozer – non è una sorpresa. In entrambi i casi, il passaggio di stato è relativamente improvviso e porta a nuove condizioni medie fuori dalla portata di fluttuazione evidente nello stato precedente. I passaggi di stato indotti dall'effetto soglia, o transizioni critiche, possono risultare da 'biforcazioni da piega' e possono presentare isteresi (12). L'effetto finale è che una volta che avviene una transizione critica, è estremamente difficile o anche impossibile per il sistema tornare al suo stato precedente. Le transizioni critiche possono anche essere il risultato di biforcazioni più complesse, le quali hanno una diversa natura rispetto alle biforcazioni da piega, ma che che portano ugualmente a cambiamenti irreversibili (20). I recenti lavori teorici suggeriscono che i passaggi di stato dovuti alle biforcazioni da piega sono probabilmente preceduti da fenomeni generali che possono essere caratterizzati matematicamente: una decelerazione nel recupero dalle perturbazioni ('rallentamento critico'), un aumento nella varianza dei modelli entro fluttuazioni di stato, un aumento nell'autocorrelazione fra fluttuazioni, un aumento nell'asimmetria delle fluttuazioni e rapidi passaggi avanti e indietro ('tremolio') fra stati (12,14,18). Questi fenomeni possono teoricamente essere valutati entro ogni sistema delimitato in tempo e spazio. Anche se una tale valutazione non è ancora semplice (12,18,20), le transizioni critiche, e in alcuni casi i loro segnali di avvertimento, sono diventate evidenti in diverse investigazioni biologiche (21), per esempio nella valutazione delle dinamiche dello scoppio delle malattie (22,23), nelle popolazioni (14) e negli ecosistemi lacustri (12,13). Gli imminenti passaggi di stato possono a volte essere anche determinati attraverso la parametrizzazione di modelli relativamente semplici (20,21). Nel contesto della previsione di cambiamenti biologici, la presa di coscienza del fatto che le transizioni critiche ed i passaggi di stato possano accadere su scala globale (3,12,15-18) allo stesso modo che su scale più piccole, è di grande importanza. Una questione chiave è come riconoscere un passaggio di stato su scala globale. Un'altra è se i passaggi di stato su scala globale sono il risultato cumulativo di molti eventi su scala più piccola che hanno origine in sistemi locali o se piuttosto richiedono forzanti di livello globale per manifestarsi su scala planetaria e quindi ricadere sui sistemi locali causando cambiamenti. Esaminare i passaggi di stato su scala globale del passato ci fornisce utili spunti per entrambi questi problemi.


Caratteristiche dei passaggi di stato su scala globale

La biosfera della Terra ha attraversato passaggi di stato in passato, su diverse (di solito molto lunghe) scale temporali e per questo può rifarlo in futuro (Box 1). Uno dei passaggi di stato planetari più rapidi, ed anche il più recente, è stata la transizione dall'ultima era glaciale all'attuale condizione interglaciale (12,18), che è durata millenni (24). Le condizioni glaciali hanno prevalso per 100.000 anni. Poi, in 3.300 anni intervallati da improvvise oscillazioni su scala decennale, sono state raggiunte le piene condizioni interglaciali. Gran parte dei cambiamenti biotici – che comprendono estinzioni, alterazioni degli schemi di diversità e nuove composizioni della comunità – sono avvenuti in un periodo di 1.600 anni, a cominciare da 12.900 anni fa. Il conseguente stato interglaciale in cui viviamo ha prevalso per gli 11.000 anni passati. Su scala temporale più lunga avvengono eventi come almeno quattro delle 'grandi cinque' estinzioni di massa (25), ognuna delle quali rappresenta una transizione critica durata da diverse decine di migliaia a 2 milioni di anni ed hanno cambiato il corso dell'evoluzione della vita, rispetto a quanto è stata la normalità per i precedenti dieci milioni di anni. I passaggi di stato planetari possono anche sostanzialmente aumentare la biodiversità, come è ad esempio avvenuto con la 'esplosione del Cambriano' (26), ma tali transizioni richiedono decine di milioni di anni, scale temporali che non sono significative per la previsione di cambiamenti biologici che potrebbero avvenire entro le prossime generazioni umane (Box 1). Nonostante le loro diverse scale temporali, le transizioni critiche del passato sono avvenute molto rapidamente in confronto al loro stato: per gli esempi discussi qui, le transizioni sono durate meno del 5% del tempo di quanto fosse durato lo stato precedente (Box 1). La caratteristica biotica di ogni cambiamento di stato erano, durante la transizione critica, cambiamenti pronunciati nell'assemblaggio delle specie a livello locale, regionale e globale. Le specie precedentemente dominanti sono diminuite o si sono estinte, nuovi consumatori sono diventati importanti sia localmente sia globalmente, organismi inizialmente rari sono proliferati, le reti del cibo sono state modificate, le portate geografiche riconfigurate e sono sfociate in nuove comunità biologiche e l'evoluzione è era iniziata in nuove direzioni. Per esempio, durante l'esplosione del Cambriano i predatori mobili sono diventati parte della catena alimentare per la prima volta. A seguito dell'estinzione K/T, i mammiferi erbivori hanno rimpiazzato gli arcosauri erbivori. E durante l'ultima transizione glaciale-interglaciale, la biomassa della megafauna è passata dall'essere dominata da molte specie all'essere dominata dall'Homo Sapiens e dalle nostre specie addomesticate (27). Tutti i passaggi di stato su scala globale osservati hanno coinciso con le forzati su scala globale che hanno modificato l'atmosfera, gli oceani e il clima (Box 1). Questi esempi suggeriscono che i passaggi di stato su scala globale del passato hanno richiesto forzanti su scala globale, che a loro volta hanno dato via a cambiamenti di di stato di livello più basso che i controlli locali non hanno contrastato. Così,  gli aspetti critici della previsione biologica sono per capire se le attuali forzanti globali sono di una grandezza sufficiente per innescare una transizione critica su scala globale e per accertare l'estensione di cambiamenti di stato dei livelli più bassi che queste forzanti globali hanno già causato o è probabile che causino.


Forzanti attuali su scala globale
I meccanismi delle forzanti su scala globale sono oggi la crescita della popolazione umana e il relativo consumo di risorse (3), la trasformazione dell'habitat e la frammentazione (3), la produzione e il consumo di energia (28,29) e il cambiamento climatico (3,18). Tutti insieme vanno ben oltre, sia in tasso sia in grandezza, le forzanti evidenti nel più recente passaggio di stato su scala globale, l'ultima transizione glaciale-interglaciale (Box 1), che è un punto di riferimento particolarmente rilevante per il confronto, dato che le due forzanti su scala globale a quei tempi – cambiamento climatico e crescita popolazione umana (27,30) sono forzanti primarie anche oggi.

Figura 1 | Fattori portanti di una potenziale transizione critica su scala planetaria. a. Gli esseri umani trasformano e frammentano localmente il paesaggio. b. Le aree adiacenti che ospitano ancora paesaggi naturali subiscono cambiamenti indiretti. c. Passaggi di stato locali antropogenici accumulano per trasformala un'alta percentuale di superficie terrestre drasticamente; la colorazione marrone indica il circa 40% degli ecosistemi terrestri che sono stati trasformati in paesaggi agricoli, come spiegato nel riferimento (34). d. Le forzanti su scala globale emergono da impatti umani locali accumulati, ad esempio le zone morte negli oceani a causa dell'uso di inquinanti agricoli. e. Cambiamenti nella chimica di oceani e atmosfera provenienti dal rilascio di gas serra quando vengono bruciati i combustibili fossili. f–h. Le forzanti su scala globale emergono a causare cambiamenti ecologici anche in aree lontane dalla concentrazione della popolazione umana. f. Foreste di conifere uccise dai coleotteri (alberi marroni) hanno innescato cambiamenti stagionali nelle temperature osservate durante i 5 decenni passati. g. Le riserve di biodiversità, come le foreste pluviali tropicali è previsto che perdano molte specie quando il cambiamento climatico globale causa cambiamenti locali di temperatura e di precipitazioni, esacerbando altre minacce che causano già tassi di estinzione alti in modo abnorme. Nel caso degli anfibi, questa minaccia è la diffusione della chytridiomycota, facilitata dagli esseri umani. h. I ghiacciai del Kilimanjaro, che sono rimasti grandi negli ultimi 11.000 anni, si stanno sciogliendo rapidamente, una tendenza globale che in molte parti del mondo minaccia la fornitura di acqua dei grandi centri. Mentre la popolazione umana direttamente trasforma sempre più superficie terrestre, tali cambiamenti, guidati da forzanti su scala globale emergenti, aumentano drasticamente, causando a loro volta passaggi di stato negli ecosistemi che non vengono direttamente usati dalla gente. Foto: E.A.H. e A.D.B. (a–c, e–h); NASA (d).

Durante l'ultima transizione glaciale-interglaciale, tuttavia, queste sono state forzanti probabilmente separate, seppur coincidenti. Le condizioni attuali sono molto diverse perché le forzanti su scala globale compreso (ma non limitato al) cambiamento climatico è emerso come risultato diretto delle attività umane. La crescita della popolazione umana ed il tasso di consumo pro capite sta alla base di tutti gli altri fattori attuali del cambiamento globale. La crescita della popolazione umana attuale (77 milioni di persone all'anno) e di 3 ordini di grandezza superiore della media annuale della crescita dai 10.000 ai 40 anni fa (67.000 persone all'anno) ela popolazione umana è quasi quadruplicata solo durante il secolo passato (31-33). Le stime più prudenti suggeriscono che la popolazione crescerà dal suo valore attuale di 7 miliardi fino a 9 entro il 2045 (31) e ai 9,5 miliardi entro il 2050 (31,33). Come risultato delle attività umane, le forzanti dirette su scala locale si sono accumulate al punto che, indirettamente, le forzanti su scala globale di cambiamenti biologici ora stanno emergendo. La forzante diretta comprende la conversione del 43% della superficie della Terra a scopo agricolo o urbano, con gran parte del paesaggio naturale rimanente solcato da strade (1,2,34,35). Ciò va oltre la trasformazione fisica avvenuta durante l'ultima transizione critica su scala globale, quando il 30% della superficie terrestre è passata da superficie ricoperta di ghiacci a superficie libera. Le forzanti su scala globale indirette che sono risultate dalle attività umane comprendono la modifica drastica di come l'energia fluisce dentro l'ecosistema globale. Ora una quantità smodata di energia è instradata verso una sola specie: l'Homo Sapiens. Gli esseri umani requisiscono dal 20 al 40% della Produttività Primaria Netta (1,2,35) (PPN) e diminuiscono la PPN complessiva attraverso il degrado dell'habitat. Aumentare la PPN a livello regionale attraverso la deposizione atmosferica e agricola di nutrienti (per esempio azoto e fosforo) non colma il deficit (2). Secondariamente, attraverso il rilascio dell'energia precedentemente immagazzinata nei combustibili fossili, gli esseri umani hanno sostanzialmente aumentato l'energia che, in ultima analisi, è disponibile per alimentare l'ecosistema globale. Questa aggiunta controbilancia completamente l'appropriazione da parte degli esseri umani della PPN, perché la grande maggioranza di questa energia 'extra' viene usata per sostenere gli esseri umani ed i suoi animali addomesticati, la somma dei quali comprende la biomassa dei grandi animali che è ben oltre quella tipica dei tempi pre-industriali (27). Una diminuzione in questo bilancio energetico extra, che è inevitabile se le alternative non compensano l'esaurimento dei combustibili fossili, probabilmente avrà un impatto forte sulla salute e sull'economia umana (28) e diminuirà anche la biodiversità (27), la seconda perché anche più PPN dovrebbe essere destinata all'uomo, lasciandone meno per altre specie (36). I sottoprodotti dell'alterazione del bilancio energetico globale sono grandi cambiamenti in atmosfera e negli oceani. Bruciare combustibili fossili ha aumentato la CO2 atmosferica di più di un terzo (35%), rispetto ai livelli pre-industriali, con conseguenti perturbazioni climatiche che comprendo anche un tasso più alto di riscaldamento globale di quanto non fosse avvenuto durante l'ultimo passaggio di stato su scala globale (37). Concentrazioni maggiori di CO2 hanno anche causato la rapida acidificazione degli oceani, come provato dalla diminuzione del pH di 0,05 nei due decenni passati (38). In più, gli inquinanti dal deflusso agricolo e dalle aree urbane hanno cambiato radicalmente il ciclo dei nutrienti in larghe fasce di aree marine (16). Risposte biotiche già osservabili includono grandi 'zone morte' nel regno marino nei pressi delle coste (39), così come la sostituzione del 40% di superficie terrestre precedentemente ricca di biodiversità, con paesaggi che contemplano solo poche specie di piante coltivate, animali da cortile ed esseri umani (3,40). Spostamenti in tutto il mondo in diverse gamme di specie, fenologia e abbondanza concordano con l'attuale cambiamento climatico e la trasformazione dell'habitat (41). Appena introdotte, le nuove comunità si diffondono e le specie agricole si integrano in molti ecosistemi (42). Non tutte le modifiche della comunità portano alla riduzione delle specie; su scala locale e regionale, la diversità di piante è aumentata a causa di quelle immesse dall'uomo (42), contrariamente alla tendenza generale alla perdita globale di specie (5,43). Tuttavia, non sappiamo se l'aumentata diversità di tali località persisterà o alla fine diminuirà come risultato dell'interazione fra specie che sono in gioco nel tempo. I tassi di estinzione recenti e previsti (5,44) dei vertebrati sono di gran lunga superiori a quelli normali derivati empiricamente (25). In più, molte piante, vertebrati e invertebrati si sono ridotti notevolmente in estensione e numero, fino al punto di essere a rischio di estinzione (43). La rimozione di specie chiave in tutto il mondo, specialmente i grandi predatori in cima alla catena alimentare, ha aggravato i cambiamenti causati dagli impatti meno diretti, portandoci a reti ecologiche sempre più semplificate e meno stabili (39,45,46). Proiettandoci verso il 2100, i modelli prevedono che le pressioni sul biota continueranno ad aumentare. Il binomio risorse e energia usate degli esseri umani continuerà ad aumentare quando la popolazione raggiungerà i 9,5 miliardi di persone (nel 2050) e gli effetti saranno fortemente aggravati se l'uso pro capite di risorse aumenta a sua volta. Le proiezioni per il 2100 vanno da un minimo di popolazione di 6,2 miliardi di persone (il che richiederebbe una sostanziale diminuzione del tasso di fertilità) a 10 miliardi (il che richiederebbe una continua diminuzione della fertilità nei paesi che hanno fertilità ancora sopra il livello di sostituzione) a 27 miliardi (se la fertilità rimane ai livelli del 2005-2010; questa dimensione della popolazione è ritenuta essere insostenibile – rif 31). Il rapido cambiamento climatico non mostra segni di rallentamento. La modellizzazione suggerisce che, per il 30% della Terra, la velocità alla quale le specie vegetali dovranno migrare per tenere il passo col cambiamento climatico previsto è più grande del tasso di dispersione dell'ultima volta in cui la Terra è passata da un clima glaciale ad uno interglaciale (47) e che la dispersione sarà ostacolata da paesaggi altamente frammentati. I climi presenti al momento sul 10-48% del pianeta, è previsto che scompaiano entro un secolo ed è probabile che climi mai conosciuti dagli attuali organismi si instaurino sul 12-39% della Terra (48).
La temperatura media globale nel 2070 (o probabilmente qualche decennio prima) sarà più alta di quanto non sia mai stata da quando la specie umana si è evoluta.

Figura 2 | Quantificare l'uso della terra come un metodo per anticipare un passaggio di stato planetario. La traiettoria della linea verde rappresenta una biforcazione a piega  con isteresi (12). Ad ogni punto nel tempo il verde chiaro rappresenta la frazione di superficie terrestre che ha dinamiche entro i limiti caratteristici degli ultimi 11.000 anni. Il verde scuro indica la frazione degli ecosistemi terrestri che hanno indiscutibilmente subito cambiamenti di stato drastici; questi sono valori minimi, perché tengono conto solo di terreni agricoli ed urbani. Le percentuali di tali terre trasformate nel 2011 provengono dai riferimenti 1,34,35 e se divisi per 7 miliardi (l'attuale popolazione umana mondiale) danno un valore di 2,27 acri (0,92 ettari) di terra trasformata per ogni persona. Quel valore è stato usato per stimare la quantità di terra trasformata che probabilmente era presente nel 1800, 1900 e 1950 e che ci sarà nel 2025  e 2045, presupponendo un aumento della popolazione ridotto e che l'uso di questa risorsa non diventi più efficiente. La stime sulla popolazione provengono dai riferimenti 31-33. Una stima di 0,68 acri trasformati  (0,28 ettari) pro capite (approssimativamente quello attuale dell'India) è stato usato per l'anno 1700, assumendo un minore effetto sul panaorama globale prima della rivoluzione industriale. Gli interrogativi enfatizzano che al momento non sappiamo ancora quanta terra dovrebbe essere trasformata direttamente dagli esseri umani prima che un passaggio di stato fosse imminente, ma gli studi e le teorie sulla scala del paesaggio suggeriscono che la soglia critica potrebbe assestarsi fra il 50 e il 90% (anche se potrebbe essere anche inferiore a causa delle sinergie fra forzanti globali emergenti). Vedere il testo principale per ulteriori spiegazioni. Un miliardo = 10⁹.

Aspettarsi l'inaspettato

Le grandezze sia delle forzanti dirette su scala locale, sia delle forzanti emergenti su scala globale sono molto più grandi di quelle che hanno caratterizzato l'ultimo passaggio di stato su scala globale e non ci si aspetta che diminuiscano presto. Per questo, la plausibilità di un futuro passaggio di stato planetario sembra alta, anche se rimangono considerevoli le incertezze sul fatto che sia inevitabile e, se fosse così, su quanto lontano nel futuro possa essere. Il chiaro potenziale per un passaggio di stato su scala planetaria complica molto gli sforzi per previsioni biotiche, perché per loro natura i passaggi di stato portano in sé delle sorprese. Ciononostante, alcune aspettative generali possono essere ricavate dagli esperimenti naturali forniti dai passaggi di stato su scala globale del passato. Sulla tempistica più rilevante per le previsioni biologiche di oggi, ci sono gli effetti biotici osservati nell'ultimo passaggio da glaciale a interglaciale (Box 1) che comprendono molte estinzioni (30,49,51), drastici cambiamenti nella distribuzione delle specie, abbondanze e diversità e l'emergere di nuove comunità (49,50, 52-54). Il flusso di nuovi schemi genetici hanno innescato nuove traiettorie evolutive (55-58), ma il tempo da allora non è stato sufficiente per l'evoluzione a compensare le estinzioni. Ad un minimo, ci si aspetta questo tipo di passaggio di stato su scala globale dalle attuali dinamiche, non solo in regioni dominate dall'uomo, ma anche in regioni remote ora non occupate pesantemente dagli esseri umani (Fig. 1); infatti, tali cambiamenti sono già in corso - vedi sopra (5,25,39,41-44). Dato che all'evoluzione servono da centinaia di migliaia a milioni di anni per ricostituire la diversità ai livelli pre-crash dopo i grandi episodi estintivi (25) gli aumentati tassi di estinzione sono particolarmente preoccupanti, speci perché la diversità regionale e globale oggi è generalmente inferiore di quanto non fosse 20.000 anni fa come risultato dell'ultimo passaggio di stato planetario (37,50,51,54,59). Questa perdita di diversità su larga scala non è compensata da aumenti storici nella ricchezza delle specie vegetali in molte località, perché le specie trasportate dagli esseri umani hanno omogeneizzato il biota del mondo (42). Sono anche possibile perdite sostanziali di servizi ecosistemici richiesti per il sostentamento della popolazione umana (60). E' ancora sconosciuto con quale ampiezza gli aumenti antropogenici in certi servizi ecosistemici – come la coltivazione del cibo – bilancino la perdita servizi ecosistemici 'naturali', molti dei quali sono tendono già in direzioni pericolose come risultato dell'uso eccessivo, degli inquinanti e del cambiamento climatico (45,61,62); perdita di milioni di chilometri quadrati di conifere dovuta alle esplosioni del coleottero della corteccia indotte dal cambiamento climatico (63); perdita di sequestro di carbonio a causa dell'abbattimento delle foreste (60) e perdite di produttività agricola a causa della desertificazione o di pratiche dannose dell'uso di terra (1,35). Anche se gli effetti finali della biodiversità in cambiamento e dalle composizione delle specie sono ancora sconosciuti, se le soglie critiche della diminuzione del ritorno dei servizi ecosistemici fossero raggiunte su grandi aree ed allo stesso tempo la domanda mondiale aumentasse (come accadrà se la popolazione aumentasse di 2 miliardi entro circa tre decenni), ne potrebbero derivare disordini sociali ovunque, instabilità economica e perdita di vita umana (64).

Verso un miglioramento della previsione e del monitoraggio biologico

In vista di potenziali impatti sull'umanità, un bisogno chiave della previsione biologica è lo sviluppo di modi per anticipare una transizione critica globale, possibilmente in tempo per fare qualcosa a riguardo (65), E possibile immaginare gli aspetti qualitativi di un passaggio di stato planetario dati gli attuali impatti umani (Fig. 1), ma i criteri che indicherebbero quanto sia esattamente quanto potremmo essere vicini ad un passaggio di stato planetario, rimangono elusivi. Tre approcci dovrebbero risultare di aiuto nel definire i punti di riferimento utili e a tracciare la progressione verso di essi. 

Tracciare i cambiamenti su scala globale 

Il primo approccio riconosce il fatto che i cambiamenti di stato su scala locale  - risultanti sia dall'effetto mazza sia dall'effetto soglia – innescano transizioni critiche su regioni più ampie dell'area direttamente influenzata, come è stato mostrato  sia empiricamente sia teoricamente (66-70). Su scala paesaggistica, i punti di non ritorno  su zone indisturbate sono empiricamente evidenti quando il 50-90% delle zone intorno sono disturbate. Le simulazioni indicano   che le transizioni critiche diventano molto più probabili quando la probabilità di connessione  di due nodi in una rete (ecologica o altro) scende al di sotto del 59% (riferimenti 66-70). Più generalmente, dense popolazioni umane, strade e infrastrutture e trasformazione della terra sono conosciute come cause di cambiamenti ecologici al di fuori delle aree che abbiano effettivamente   attraversato cambiamenti di stato a causa di effetto mazza (68).    

Tradurre questo principio su scala planetaria implicherebbe che una volta che una proporzione sufficiente degli ecosistemi terrestri abbiano attraversato una trasformazione, quello che rimane può cambiare rapidamente (Fig. 2), specialmente perché forzanti emergenti e su larga scala (per esempio cambiamenti nella chimica di atmosfera e oceano, cicli dei nutrienti ed energetici, inquinamento e così via) moltiplicano ed interagiscono per aggravare le forzanti locali (21) (Fig. 1). Non si sa ancora, tuttavia, quale percentuale degli ecosistemi terrestri debbano effettivamente essere trasformati in nuovi stati dall'azione diretta degli esseri umani perché vengano innescati cambiamenti di stato rapidi nei rimanenti sistemi 'naturali'. Quella percentuale può essere conoscibile solo retrospettivamente ma, a giudicare dalle simulazioni e dalle osservazioni da scala paesaggistica (66-70), ci si può aspettare ragionevolmente che siano bassi al 50% (riferimento 68) o anche inferiore se gli effetti di molte trasformazioni degli ecosistemi locali causano l'emergere di forzanti sufficientemente grandi su scala globale. In quel contesto, i continui sforzi per tracciare i cambiamenti su scala globale mediante telerilevamento e altre tecniche saranno essenziali nel valutare quanto siamo vicini a spostare l'equilibrio verso una Terra in cui gran parte degli ecosistemi sono direttamente alterati dalla gente. Ciò è relativamente semplice per la terra ed è già stato dimostrato che almeno il 43% degli ecosistemi terrestri sono passati attraverso ampie trasformazioni (2,34,40) pari in media a 2,27 acri trasformati (0,92 ettari) pro capite per l'attuale popolazione umana. Assumendo che questo tasso medio di trasformazione del territorio pro capite non cambi, il 50% della superficie della Terra avrà attraversato cambiamenti di stato quando la popolazione globale raggiunge gli 8,2 miliardi, il che si stima che avvenga nel 2025 (31). Sempre sotto la stessa assunzione di consumo di territorio e secondo modelli leggermente meno prudenti di crescita della popolazione, il 70% della superficie della Terra potrebbe essere passata ad uso umano (se la popolazione raggiunge gli 11,5 miliardi) nel 2060 (31). Valutare il cambiamento di percentuale verso nuovi stati nel sistema marino, e l'impronta umana diretta sugli oceani, è molto più impegnativo, ma i dati disponibili suggeriscono effetti molto diffusi (38,39). Una quantificazione più precisa dei passaggi di stato dell'ecosistema negli oceani è un compito importante, nella misura in cui gli ecosistemi marino coprono gran parte del pianeta. 

Monitorare i cambiamenti su scala locale causati da forzanti globali

Il secondo approccio è il monitoraggio diretto del cambiamento biologico in sistemi locali causati da forzanti esterne. Tale monitoraggio sarà vitale, in particolare dove l'impronta umana viene ritenuta piccola. Osservare cambiamenti inusuali in tali aree, come recentemente avvenuto nel parco di Yellowstone, Stati Uniti, che è protetto dal 1872 (71) e in molti bacini idrografici remoti (72), potrebbe indicare quelle forzanti su larga scala (38,73) che stanno influenzando i processi locali. Un problema chiave è stato come riconoscere un cambiamento 'inusuale', perché i sistemi biologici sono dinamici e le linee di base sempre in movimento hanno dato luogo a molte definizioni diverse di 'normale', ognuna delle quali può essere definita 'inusuale' all'interno di un dato contesto temporale. 

Tuttavia, identificare segnali di un passaggio di stato su scala globale in qualsiasi sistema locale richiede un contesto temporale che abbracci almeno qualche secolo o millennio, per contenere la gamma di variazioni ecologiche che sarebbero considerate normali durante l'intera durata di 11.000 anni dell'attuale periodo interglaciale. Identificare cambiamenti biotici inusuali su quella scala è divetato possibile di recente attraverso diversi approcci, i quali sono uniti dal comune focus di integrare le informazioni spaziali e temporali (Box 2). Le innovazioni comprendono la caratterizzazione degli ecosistemi usando una tassazione delle metriche indipendenti che può essere tracciata con dati paleontologici di tempi per-antropogenici per poi confrontarli alle condizioni attuali e monitorarli nel futuro, il riconoscimento dei modelli macroecologici che indicano sistemi disturbati, il combinare informazioni phylocronologiche e phylogeografiche per tracciare le dinamiche di popolazione su diversi millenni e valutare la struttura e la stabilità della rete ecologica usando metodi teorici ed empirici. Siccome tutti questi approcci beneficiano dei dati di serie temporali, gli sforzi per il monitoraggio a lungo termine e le collezioni dei musei paleontologici e di storia naturale diventeranno di particolare valore (74).

Sinergie e retroazioni

La soglie che portano a transizioni critiche vengono attraversate spesso quando le forzanti vengono ingrandite da interazioni sinergiche di processi apparentemente indipendenti o attraverso anelli di retroazione (3,16). Date queste forzanti su scala globale oggi sono all'opera, capire come possano combinarsi per ingrandire i cambiamenti biologici è una sfida chiave (6,8,37). Per esempio, il rapido cambiamento climatico combinato con le gamme di specie altamente frammentate è plausibile che amplifichino il potenziale per un collasso dell'ecosistema ed ampi cambiamenti del panorama possono a loro volta influenzare la biologia degli oceani. Gli anelli di retroazione avvengono anche fra sistemi apparentemente discreti che operano a diversi livelli della gerarchia biologica (6,8,37) (genotipo, fenotipo, popolazione, distribuzione delle specie, interazioni fra specie e così via). L'effetto finale è che la forzante biologica applicata su una scala può provocare l'accadere di una transizione critica su un'altra. Gli esempi comprendono la selezione involontaria e antropogenica verso una maturazione precoce dei singoli merluzzi come risultato della forte pressione sulla pesca (61), collassi di popolazione dovuti alla diminuita diversità genetica (75), mancata corrispondenza nella fenologia della fioritura e dell'impollinazione risultante dall'interazione di fattori genetici, temperatura fotoperiodo e/o precipitazione (76) e cambiamenti ecologici a cascata innescati dalla rimozione dei predatori al vertice (62). Nella maggior parte dei casi questi effetti di 'salto di scala' e i meccanismi che li guidano, diventano visibili solo a posteriori, ma anche così hanno una importanza cruciale nel rivelare gli effetti di interazione che ora possono essere incorporati nella prossima generazione di previsioni biologiche. Alla fine, siccome l'ecosistema su scala globale ne comprende molti su scala inferiore - sistemi complessi delimitati nello spazio (per esempio la comunità entro una data regioni fisiografica) - ognuno dei quali si sovrappone ed interagisce con gli altri, le componenti dei passaggi di stato su piccola scala si possono propagare fino a causare un passaggio di stato dell'intero sistema (21). La nostra comprensione della complessità a questo livello può essere aumentata tracciando i cambiamenti all'interno di molti differenti ecosistemi in modo parallelo, dagli studi su scala paesaggistica dei passaggi di stato (12,21) e dal lavoro teorico in corso (20). Le interazioni potenziali fra  sistemi complessi sovrapposti, tuttavia, risultano difficili da caratterizzare matematicamente, specialmente quando i sistemi sotto studio non sono ben conosciuti ed eterogenei (20). Ciononostante, una possibilità emergente da tale lavoro è che i comportamenti transienti a lungo termine, dove cambiamenti improvvisi nelle dinamiche possono avvenire dopo periodi di relativa stasi anche in assenza di forze esterne, potrebbero essere pervasive a livello di ecosistema (20), in modo analogo al collasso ritardato della metapopolazione come risultato del debito di estinzione (77). Questo potenziale effetto di 'ritardo temporale' fa di queste le forzanti su scala globale più critiche e da affrontare rapidamente, se possibile, che possano spingere l'intera biosfera verso una transizione critica. 

Guidare il futuro biotico

Gli esseri umani hanno già cambiato la biosfera in modo sostanziale, così tanto che alcuni sostengono di dover riconoscere il tempo in cui viviamo come una nuova era geologica: l'Antropocene (3,17,78). Il confronto con l'attuale estensione di cambiamento planetario con quello che ha caratterizzato i passaggi di stato su scala globale del passato e le enormi forzanti globali che continuiamo a esercitare, suggeriscono che un altro passaggio di stato su scala globale sia altamente probabile entro decenni o secoli, se non è addirittura già iniziato. Di conseguenza, le risorse biologiche che diamo per scontate al momento potrebbero essere soggette a rapide ed imprevedibili trasformazioni entro poche generazioni umane. Anticipare sorprese biologiche su scala globale così come su scala locale, quindi, è diventato particolarmente cruciale per guidare il futuro dell'ecosistema globale e le società umane. La guida richiederà non solo il lavoro scientifico che predice e che idealmente aiuta ad evitare (65) gli effetti negativi delle transizioni critiche, ma la volontà della società di incorporare aspettative di instabilità biologica (64) nelle strategie per il mantenimento del benessere umano. Diminuire la gamma di sorprese biologiche che risultano dalle forzanti 'bottom-up' (dal locale al globale) e da quelle 'top-down' (dal globale al locale), posticipare i loro effetti e, nel migliore dei casi, evitare una transizione critica su scala planetaria, richiede una cooperazione globale per arginare le attuali forzanti antropogeniche su scala globale (3,15-17,19). Ciò richiederà una riduzione della crescita della popolazione mondiale (31) e dell'uso di risorse pro capite, il rapido aumento della proporzione di bilancio energetico alimentata da fonti diverse dai combustibili fossili unita anche ad un uso più efficiente nell'uso degli stessi quando questi siano l'unica opzione (79), l'aumento dall'efficienza degli attuali mezzi di produzione e distribuzione di cibo al posto di occupare nuove aree (34) o affidarsi alle specie selvatiche (39) per sfamare la gente ed aumentare gli sforzi per gestire le riserve di biodiversità e dei servizi ecosistemici, sia nel regno terrestre (80), sia in quello marino (39), le parti della superficie terrestre che non sono già dominate dagli esseri umani. Queste, bisogna ammetterlo, sono compiti enormi, ma sono vitali se l'obbiettivo della scienza e della società è di dirigere la biosfera verso le condizioni che vogliamo, piuttosto che quelle che vengono spinte su di noi inconsapevolmente. 

Box 1

Transizioni critiche e passaggi di stato del passato


L'ultima transizione glaciale-interglaciale (18,24). La transizione critica è stata una fluttuazione caldo – freddo – caldo nel clima fra i 14.300 e 11.000 anni fa ed i cambiamenti biotici più prominenti sono avvenuti fra 12.900 e 11.300 anni fa (24,27,30,54). I maggiori cambiamenti biotici sono stati l'estinzione di quasi la metà delle specie dei grandi mammiferi, diverse specie di grandi uccelli e rettili e di poche specie di piccoli animali (30). Una significativa diminuzione della biodiversità locale e regionale quando le aree geografiche si spostavano individualmente, il che ha portato alla nascita di nuove specie (37,49,53,54); ed un aumento globale nella biomassa umana e la diffusione degli umani in tutti i continenti (27). Lo stato globale di pre transizione è uno interglaciale, che la Terra è stata per circa 11.000 anni. Le forzanti globali erano indotte in modo orbitale, variazioni cicliche nell'irradiazione solare causate che causavano rapidi riscaldamenti globali. Gli effetti diretti ed indiretti degli esseri umani hanno probabilmente contribuito all'estinzione della megafauna ed alla conseguente ristrutturazione ecologica.


Cinque Grandi' estinzioni di massa (25) Le rispettive transizioni critiche sono finite 443 milioni, 350 milioni, 251 milioni, 200 milioni e 65 milioni di anni fa. Ognuna di esse sembra abbia impiegato 2 milioni di anni per completarsi. Ma potrebbero essere state molto più brevi: Le limitazioni delle datazioni geologiche precludono una maggior precisione. La transizione più recente (l'estinzione K/T, avvenuta alla fine del Cretaceo) potrebbe essere stata il risultato catastrofico dell'impatto di un bolide e potrebbe essere avvenuta su un scala temporale breve quanto una vita umana.

I grandi cambiamenti biotici sono stati l'estinzione di almeno il 75% delle specie terrestri, una grande riorganizzazione degli ecosistemi locali e globali nel momento in cui forme di vita precedentemente rare hanno assunto una predominanza evolutiva ed il ritorno a livelli pre-estinzione della biodiversità in un tempo che va dai centinaia di miglia di anni a milioni di anni. Gli stati globali pre e post transizione sono durati da 50 a 100 milioni di anni. Ora ci troviamo da 65 milioni di anni nel presente stato su questa scala, in un'era conosciuta come Cenozoico o l'Era dei Mammiferi. Le forzanti globali corrispondevano tutte a cambiamenti climatici inusuali e spostamenti nella chimica di oceani ed atmosfera, specialmente nella concentrazione di anidride carbonica e, in un caso, idrogeno solforato. L'intensa attività vulcanica sembra essere stata importante in alcuni eventi estintivi. L'impatto di un bolide è ben documentato come la causa dell'evento K/T ed è stato
postulato come causa di alcuni degli altri.

L'esplosione del Cambriano (26,81). La transizione critica è iniziata 540 milioni di anni fa ed è durata 30 milioni di anni. I grandi cambiamenti biotici sono state le evoluzioni innovative che hanno portato a tutti i phyla conosciuti oggi; una conversione dell'ecosistema globale da uno basato quasi esclusivamente su microbi ad uno basato sulla complessa vita multicellulare e la diversità è aumentata, ma su una scala temporale che è troppo lunga per essere significativa nella previsione il futuro biotico sulle generazioni umane. Lo stato globale di pre-transizione è durato 2 milioni di anni ed è stato caratterizzato da forme di vita primarie consistenti in microbi procariotici ed eucariotici. Lo stato globale di post transizione è vecchio di 540 milioni di anni ed è ancora in corso. Le forzanti globali sono state l'aumento dell'ossigeno atmosferico a livelli sufficienti ai processi metabolici richiesti per sostenere la vita complessa e multicellulare, e innovazioni evolutive che includevano grandi dimensioni, predazione e locomozione.


Box 2

Integrare i dati spazio-temporali su larghe scale per rilevare passaggi stato planetari

• La paleontologia usa informazioni storiche, fossili e geologiche per calibrare i normali livelli di fluttuazione della biodiversità, della composizione delle specie e dell'abbondanza (80), delle reti alimentari (82), dell'ecomorfologia (83), dell'estinzione (25) e così via. Un lavoro recente mostra che alcuni ecosistemi poco popolati operano ancora entro i confini che sarebbero considerati normali per il periodo interglaciale attuale, ma che altri sono stati disturbati (80).

• La macroecologia fornisce modi quantitativi per identificare quando un particolare ecosistema ha caratteristiche inusuali in parametri quali le relazioni area-specie, la distribuzione dell'abbondanza delle specie, i modelli di aggregazione spaziale (84,85), la relazione potere-legge inversa fra abbondanza e dimensione del corpo (87) e la distribuzione dei collegamenti fra specie in una rete trofica (88). I recenti progressi nella formalizzazione della teoria della massima entropia dell'ecologia (MaxEnt) (85,86) fornisce mezzi teorici per prevedere con percisione tali modelli in ecosistemi non disturbati; gli scostamenti significativi dalle previsioni di MaxEnt probabilmente indicano sistemi disturbati (85).

•La biologia della popolazione usa la storia della vita, l'abbondanza, modellizzazioni genetiche e numeriche per valutare le dinamiche di popolazione e vitalità. I recenti progressi nell'ottenere DNA antico da campioni vecchi di diverse migliaia di anni, oltre ai modelli analitici recentemente sviluppati che tengono conto del modellamento temporale (phylocronologico) così come quello spaziale (phylogeografico), aumentano la capacità di testare se il modellamento genetico del paesaggio moderno devia significativamente dai modelli che emergono su scale da secoli a millenni (10,89).

• La teoria della rete ecologica vede gli ecosistemi come reti complesse di specie connesse da diverse interazioni. Un recente lavoro identifica caratteristiche persistenti e stabilizzanti delle reti su scale geografiche e temporali diverse (81,82) (sia correnti sia paleontologiche), come i rapporti fra la grandezza del corpo del consumatore e quello della risorsa (90), effetti di scala allometrici (91), distribuzione asimmetrica della connettività (81,92,93) e forza delle interazioni (94-96). L'alterazione di tali caratteristiche segnala una perturbazione della normale struttura della rete. Il lavoro teorico rivela anche dove le informazioni su tratti specifici delle specie come taglia (46,90,91), generalità trofica (91) unicità trofica (97), interazioni non trofiche (98) e informazioni filogenetiche (99) possono aiutare a prevedere quando i servizi ecosistemici si degradano al destabilizzarsi (46,100) e allo smembrarsi (97) della rete.






Note sugli autori
  • 1. Department of Integrative Biology, University of California, Berkeley, California 94720, USA. 
  • 2. Museum of Paleontology, University of California, Berkeley, California 94720, USA. 
  • 3. Museum of Vertebrate Zoology, University of California, Berkeley, California 94720, USA. 
  • 4. Department of Biology, Stanford University, Stanford, California 94305, USA. 
  • 5. Integrative Ecology Group, Estacion Biologica de Doñana, CSIC, Calle Americo Vespucio s/n, E-41092   Sevilla, Spain. 
  • 6. TRU NORTH Labs, Berkeley, California 94705, USA. 
  • 7. Department of Biology, The University of New Mexico, Albuquerque, New Mexico 87131, USA. 
  • 8. Department of Geosciences and Geography and Finnish Museum of Natural History, PO Box 64, University of Helsinki, FI-00014 Helsinki, Finland. 
  • 9. Department of Environmental Science, Policy, and Management, University of California, Berkeley, California 94720, USA. 
  • 10. Energy and Resources Group, University of California, Berkeley, California 94720, USA. 
  • 11. Department of Environmental Science and Policy, University of California, One Shields Avenue, Davis, California 95616, USA. 
  • 12. Departamento de Ecologìa, Facultad de Ciencias Biologicas, Pontificia Universidad Catolica de Chile, Alameda 340, Santiago, Chile. 
  • 13. Instituto de Ecologìa y Biodiversidad, Casilla 653, Santiago, Chile. 
  • 14. The Santa Fe Institute, 1399 Hyde Park Road, Santa Fe, New Mexico 87501, USA. 
  • 15. Facultad de Ciencias Biologicas, Pontificia Universidad Catolica de Chile, Alameda 340, Santiago, Chile. 
  • 16. Pacific Ecoinformatics and Computational Ecology Lab, 1604 McGee Avenue, Berkeley, California 94703, USA. 
  • 17. Department of Biological Sciences, Simon Fraser University, 8888 University Drive, Burnaby, British Columbia V5A 1S6, Canada. 
  • 18. California Academy of Sciences, 55 Music Concourse Drive, San Francisco, California 94118, USA. 
  • 19. Department of Geology, University of California, One Shields Avenue, Davis, California 95616, USA. 
  • 20. Department of Geography, University of Wisconsin, Madison, Wisconsin 53706, USA.
  • 21. Department of Biophysics and Biochemistry, University of California, San Francisco, California 94102, USA. 
  • 22. Department of Conservation Biology, Estacio´n Biolo´gica de Don˜ ana, CSIC, Calle Ame´rico Vespucio s/n, E-41092 Sevilla, Spain. 
  • 23. Center for Conservation and Sustainable Development, Missouri Botanical Garden, 4344 Shaw Boulevard, Saint Louis, Missouri 63110, USA.


Note al testo

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85. Harte, J. Maximum Entropy and Ecology: A Theory of Abundance, Distribution, and Energetics (Oxford Univ. Press, 2011). Questo libro presenta prove complete che gli schemi prevalenti nella distribuzione spaziale, nell'abbondanza e forza delle specie in ecosistemi relativamente indisturbati vengono previsti dalla procedura di deduzione della massima entropia di informazione e quelle deviazioni sistematiche dalla teoria si manifestano in ecosistemi altamente disturbati.
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Riconoscimenti 

Questa ricerca è scaturita da un workshop finanziato dall'Università della California di Berkeley al Ufficio di Berkeley del Vice Cancelliere per la Ricerca sotto l'egida dell'Iniziativa di Berkeley sul Cambiamento Globale della Biologia. Ringraziamo J. Jackson per le discussioni e Paul Ehrlich per i commenti. 

Contributi degli autori 

Tutti gli autori hanno partecipato al workshop e alle discussioni che risultano in questo saggio ed hanno fornito intuizioni chiave dalle rispettive specialità di ricerca. A.D.B. e E.A.H. Sono stati i principali scrittori e sintetizzatori. J.B., E.L.B., J.H.B., M.F., W.M.G., J.H., A.H., A.M., P.A.M, N.D.M., P.R., G.V. e J.W.W. Hanno compilato i dati e/o le figure e parti del testo. R.G., J.K., C.M., N.M., D.P.M., E.R. e A.B.S. hanno contribuito alla redazione finale del testo.

Informazioni sull'autore 
Informazioni dell'autore sulla riproduzione e informazioni sui permessi sono disponibili su  www.nature.com/reprints. Gli autori dichiarano di non avere conflitto di interessi. I lettori sono invitati a commentare alla versione online di questo articolo su  www.nature.com/nature. La corrispondenza dovrebbe essere indirizzata a A.D.B.
(barnosky@berkeley.edu).






martedì 18 dicembre 2012

Scienza del Clima: stesso destino dei “Limiti dello Sviluppo”?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Gli studi sull'esaurimento delle risorse , come “I Limiti dello Sviluppo” del 1972, sono stati attaccati e demonizzati negli anni 80 e quindi consegnati al bidone della spazzatura delle idee scientifiche “sbagliate”. Ora è il turno della scienza del clima di essere attaccata e demonizzata. Due storie parallele che si svolgono in tempi diversi.



Negli anni 1950, il problema dell'esaurimento dei minerali ed il problema climatico iniziavano ad essere riconosciuti. Nel 1956 Marion King Hubbert pubblicava il primo studio che esaminava l'esaurimento del petrolio a livello mondiale, studio che suggeriva il modello che oggi prende il suo nome, il “Modello di Hubbert”. Pressappoco nello stesso periodo, nel 1957, Roger Revelle è stato coautore, insieme a Hans Suess, del primo saggio che osservava che la concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera stava aumentando come risultato della combustione di combustibili fossili e indicava gli effetti climatici relativi.

Sia gli studi climatici sia quelli sull'esaurimento del petrolio avevano a che fare con sistemi complessi e non lineari, così le stime quantitative delle tendenze future sono diventate possibili solo con lo sviluppo dei computer digitali. I primi modelli generali di circolazione (GCM) sono stati sviluppati al NOAA della NASA nei tardi anni 60. Il primo modello del mondo che esaminava il sistema economico mondiale alla luce dell'esaurimento delle risorse è stato pubblicato da Jay Forrester nel 1971, col titolo di “World Dynamics”. Un anno dopo, nel 1972, apparve lo studio più dettagliato “I Limiti dello Sviluppo”. Gli eventi hanno segnato una rapida crescita dei due nuovi campi di ricerca: “Scienza del Clima” e “Modellizazione del Mondo”.

Lo studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo” aveva già identificato gli elementi principali del comportamento del sistema mondiale. Ecco i risultati di base di quello studio.


Come vedete, il modello aveva già identificato i “punti di non ritorno” del sistema dove l'esaurimento graduale delle risorse naturali e l'aumento dell'inquinamento avrebbero portato al collasso della produzione industriale ed agricola e, più tardi, al collasso della popolazione. La scelta fatta per costruire questo modello è stata quella di “aggregare” la maggior parte delle variabili coinvolte, cioè di considerarle tutte insieme per limitare le inevitabili incertezze che si hanno quando si ha a che fare con singole variabili. Mancando dati sufficienti per costruire un modello molto dettagliato, l'approccio dello studio dei “Limiti dello Sviluppo” è stato euristico ed orientato alla comprensione del comportamento del sistema, piuttosto che a fare previsioni esatte. 

Sull'altro versante delle simulazioni, gli scienziati del clima si sono ritrovati ad affrontare la grande complessità del clima mondiale, per il quale spesso mancavano dati sufficienti. Il risultato è stato che la modellizzazione climatica è cresciuta con un consistente sforzo sperimentale per misurare i parametri del sistema. Diversi di questi parametri richidevano studi estensivi per essere compresi e quantificati. Col tempo, i modelli sono cresciuti in sofisticazione quando i dati in entrata sono diventati più dettagliati ed affidabili. Forse a causa di questa stessa sofisticazione, i modelli hanno avuto dei problemi nell'affrontare la questione dei “punti di non ristorno”, cambiamenti repentini che potrebbero risultare dal rafforzamento di retroazioni (feedback) all'interno del sistema climatico. La conseguenza è stata una tradizione a presentare i risultati dei modelli climatici come curve dolci e continue. Ecco qua, per esempio, le curve dell'aumento delle temperature contenute nel primo rapporto del IPCC del 1990.


I risultati delle simulazioni non sono cambiate di molto nell'ultimo rapporto del IPCC del 2000. Ora, ecco la differenza fra i due campi di ricerca: La modellizzazione del mondo, con la sua visione di collasso, sembrava fornire una minaccia più immediata e preoccupante che non le dolci curve della scienza del clima. La differenza ha avuto conseguenze. 

Sappiamo cos'è accaduto allo studio iconico della modellizzazione del mondo: “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. E' parso sufficientemente minaccioso a molta gente da subire una serie di attacchi politici negli anni 80 che lo hanno portato nel bidone della spazzatura delle teorie scientifiche “sbagliate”. Il problema non è stato solo la demonizzazione di un singolo studio, ma il fatto che un intero campo scientifico sia stato posto in cattiva luce, il che ha portato alla scomparsa quasi totale dei fondi per la ricerca in quell'area. Solo in anni recenti stiamo assistendo al tentativo laborioso della modellizzazione del mondo di riemergere come legittimo campo di studio. 

Il problema con la scienza del clima, tuttavia, è che la sua visione del problema è diventata gradualmente sempre più drammatica. Con la calotta polare del nord sulla strada della fusione completa, siccità, alluvioni ed uragani, la questione del cambiamento climatico repentino non può più essere ignorata. Gli scenari che tengono conto dei punti di non ritorno cominciano a sembrare ancora più preoccupanti di quelli forniti dalla modellizazione del mondo negli anni 70. 

Quindi potrebbe non essere un caso il fatto che stiamo vedendo una reazione contro la scienza del clima molto simile a quella vista negli anni 80 contro la modellizzazione del mondo. Uno sforzo concertato viene portato avanti per demonizzare la scienza del clima e gli scienziati del clima agli occhi del pubblico e per far passare tutta la faccenda per uno scherzo o, peggio ancora, una truffa premeditata. Fra le altre cose, gli attuali attacchi alla scienza del clima sono più aggressivi e violenti di quanto lo sia stato qualsiasi altro attacco contro la modellizzazione del mondo. Oggi, le tecnologie di demonizzazione sono molto meglio conosciute e raffinate di quanto lo fossero negli anni 80. La costruzione del “Climategate” per esempio, è un vero capolavoro di come ingannare il pubblico. 

Così, quello che stiamo vedendo sono due storie parallele che si svolgono in tempi diversi. Non è impossibile che la scienza del clima farà la stessa fine della modellizzazione del mondo negli anni 80: demonizzata e ridicolizzata da un attacco politico concertato e ben finanziato e conseguentemente rimossa dal parco dei campi di studio legittimi. Se questo accadesse, potrebbero tranquillamente passare un paio di decenni prima di renderci conto che studiare scienza del clima era importante. A quel punto, sarà sicuramente troppo tardi. 

Forse, tuttavia, la recente ondata di sintomi del cambiamento climatico, dagli uragani alla fusione delle calotte di ghiaccio, renderanno il problema così chiaro da risparmiare la scienza del clima dal destino della demonizzazione toccato alla modellizzazione del mondo. Tuttavia, la campagna anti-scienza è ancora in corso ed abbiamo già perso un sacco di tempo. E' troppo tardi? Solo il tempo ce lo potrà dire.