giovedì 6 maggio 2010

Questi scienziati sono proprio dei nerd


In un post precedente, non sono stato per niente tenero con gli scienziati dell'IPCC che ho definito dei nerd; bravi nelle loro cose, ma incapaci di comunicarle al pubblico. In questo post, parto da un articolo di George Monbiot per commentare ulteriormente su questo punto.

Dice Monbiot a proposito della crisi della scienza che:

La sfiducia è stata moltiplicata dagli editori delle riviste scientifiche, le cui pratiche monopolistiche fanno si che i supermercati sembrino degli angioletti, e che sono dovute da tempo per un'inchiesta da parte della Commissione alla Competizione. Gli editori non pagano per la maggior parte del materiale che pubblicano eppure, a meno che voi non siate membri di un'istituzione accademica, vi fanno pagare 20 sterline o più per accedere a un singolo articolo. In certi casi, fanno pagare alle biblioteche decine di migliaia di sterline per un abbonamento annuale. Se gli scienziati vogliono che la gente provi perlomeno a capire il loro lavoro, dovrebbero far partire una rivolta su larga scala contro le riviste che pubblicano i loro lavori.


Questo che dice Monbiot è perfettamente vero ed è anche perfettamente orribile. Come è possibile che gli scienziati facciano una cosa così scema? Prendono i loro stipendi dai fondi pubblici, ovvero dalle tasse della gente, ma se la gente vuole sapere che cosa viene fatto con i loro soldi, deve pagare dei privati ai quali gli scienziati hanno regalato il loro lavoro. Come poi si possono lamentare gli scienziati se c'è chi li tratta a pesciate in faccia? E non è pesce azzurro, sono proprio dei tonni interi che ricevono in faccia sbatacchiati con tutta la forza.

Su questo punto, vi posso raccontare una storia. Nel 1996 avevo pensato di poter fare qualcosa per rimediare all'assurda situazione che descrive Monbiot. A quell'epoca lavoravo principalmente in un campo di ricerca un po' astruso che va sotto il nome di "Scienza delle superfici". Con l'internet allora ancora una novità, ma che cominciava a consolidarsi, era parso a me e ai miei collaboratori di poter eliminare il costo delle riviste scientifiche pubblicando in un sito aperto al pubblico che chiamammo "Surface Science Forum". Nello stesso periodo, lavorai anche a qualcosa di simile che si chiamava il "Surface Web".

Per qualche ragione, mi è capitato abbastanza spesso nella vita di trovarmi un po' in anticipo rispetto al resto del mondo. Il "Surface Science Forum" - in particolare - era un prototipo di informazione scientifica libera sul web, una specie di precursore degli attuali "open journals." Ma i tempi non erano ancora maturi. Il Surface Science Forum ebbe un successo piuttosto modesto e non riuscì mai veramente a decollare. Nel 2000, cominciavo a occuparmi di cose diverse dalla scienza delle superfici e decidemmo di chiudere il sito. Lo potete ritrovare ancora, per vostra curiosità, a questo link.

Quali sono state le ragioni del fallimento del forum? Nei quattro anni in cui è esistito il Surface Science Forum ho fatto il possibile per interessare i colleghi e convincerli a pubblicare i loro lavori in un sito dove sarebbero stati visibili al pubblico. La risposta è stata, di solito, deprimente. Più che altro, è stata del tipo "abbiamo sempre fatto in un certo modo, perché dovremmo cambiare"?

L'inerzia del mondo accademico è qualcosa che va vista sul campo per crederci. Sono veramente dei nerd, incapaci di comunicare con il mondo esterno. Fra le altre cose, la carriera di un accademico all'università dipende quasi esclusivamente da un astruso sistema di punteggi che sono determinati da quanti articoli hai pubblicato, in quali riviste, quante volte sono stati citati dai colleghi; il tutto è rigorosamente circoscritto al mondo ristretto dell'accademia. Da notare che il valore di una rivista scientifica non è stabilito in base al numero di lettori, ma in base all' "impact factor", ovvero al numero di volte in cui i lavori della rivista sono citati su altre riviste scientifiche. L'idea non è sbagliata: somiglia molto al metodo che ha google per dare un "ranking" ai siti web che indicizza. Ma il mondo accademico non premia minimamente attività di diffusione della scienza fuori dal mondo accademico stesso.

Va da se che, in queste condizioni, fare divulgazione scientifica o cercare di sostenere la scienza (come viene fatto in questo modesto blog) conta zero, o anche punti negativi. Non c'è da stupirsi se i miei colleghi non si sono mossi a pubblicare sul "Surface Science Forum". Era solo una fatica in più che non gli portava nessun "punto accademico" in più. Il pubblico? Beh, quello.......

Non so come sia che gli accademici si sono ridotti a questa condizione. Si può capire il tentativo di non politicizzare l'accademia; cosa sicuramente buona e lodevole. Ma non si capisce perché regalare il proprio lavoro a delle imprese commerciali (le riviste scientifiche) le quali lo fanno poi pagare al pubblico. E il pubblico questi lavori li ha già pagati con le tasse. Il danno che l'accademia sta ricevendo da questa pratica assurda e stupida mi fa venire in mente quel film giapponese intitolato "Suicide Club." Magari è un club esclusivo, ma non credo che la maggior parte di noi vorrebbero farne parte.

Tuttavia, le cose stanno cambiando. Negli ultimi tempi ho avuto la soddisfazione di vedere la mia idea svilupparsi ed essere ripresa da altre persone che hanno avuto più successo di me. Gli "Open Access" journals sono oggi una realtà. Sono riviste come le altre, per esempio sono soggette a "peer review", soltanto che gli articoli sono liberamente disponibili al pubblico. Ovviamente, il lavoro degli editori deve essere pagato, e questo lo devono fare gli autori. Ma è comunque un costo piccolo rispetto al costo della ricerca e, alla fine dei conti, probabilmente si fa pari con quello che le biblioteche pagano per gli abbonamenti alle riviste.

Le riviste "open access," non hanno sostituito le riviste tradizionali, ma sono in netta crescita. Se avete un momento, date un occhiata al sito dell'mdpi, www.mdpi.com. Se dovete pubblicare un articolo, vi consiglio questa serie di riviste, gli editori sono amichevoli e professionali e il costo è molto ragionevole. C'è anche un sito che raccoglie tutte le riviste scientifiche "open" http://www.doaj.org/

A livello personale, cerco di pubblicare soltanto su riviste "open access". Non lo posso fare sempre, perché non è detto che io sia l'unico autore di un articol, o comunque quello che decide dove si pubblica. Ma faccio il possibile. Piano piano, la rivoluzione dell'open access si sta svolgendo. Il punto è se si svolgerà abbastanza alla svelta da evitare ulteriori danni alla scienza, oltre quelli che ha già ricevuto dall'attacco contro la scienza del clima in corso negli ultimi tempi.